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RIASSUNTO PRIMA PARTE DEL LIBRO "lezioni di psicoterapia" Liotti, Dispense di Psicoterapia

RIASSUNTO PRIMA PARTE DEL LIBRO "lezioni di psicoterapia" Liotti riassunto completo della prima parte del libro, approfondito con informazioni relative al corso di psicoterapia. voto 30L Più alcune domande

Tipologia: Dispense

2024/2025

In vendita dal 01/07/2025

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RIASSUNTO LIBRO: LEZIONI DI PSICOTERAPIA GIOVANNI LIOTTI
Prima parte
ATTACCAMENTO E INTERSOGGETTIVITÀ:
come possiamo concettualizzare il contatto del neonato con il mondo sociale?
Intersoggettività= sincronizzazione emotiva e cognitiva
Trevarthen ha dimostrato che il bambino nonostante NON riesca ancora a tenere la testa dritta incrocia
lo sguardo della mamma che gli inizia a dire parole dolci (motherese), entrambi sorridono, il bambino
sembra interessato allo scambio al quale partecipa attivamente. Questa non è imitazione, lo ha
dimostrato con un esperimento: fa interagire la mamma e il neonato attraverso due schermi televisivi:
la madre vede il viso del piccolo sullo schermo e il bambino a sua volta vede il volto della madre sullo
schermo. Il neonato non mostra disagio davanti lo schermo, e l’interazione appare gioiosa.
Sia di persona sia attraverso lo schermo parla con la madre allo stesso modo. Ma quando viene
cancellato un fotogramma e inserisce il fotogramma successivo, manipolando la fluidità dei tempi
della risposta materna al comportamento del bambino e interrompendo il ritmo dell’interazione, per
cui il bambino si trova di fronte ad una sfasatura temporale di pochi secondi.
Infatti, se ci fosse imitazione non dovrebbe esserci nessun cambiamento, farebbe lo stesso gesto che
vede sullo schermo indipendentemente dalla sfasatura temporale. Quindi il bambino non imita la
mamma, ma ha una proto-conversazione o intersoggettività primaria (vocalizzi, espressioni del
volto e movimenti delle mani). Un bambino di due settimane non può attingere ad una conoscenza
esplicita, poiché il neonato non ha la versione semantica e né la versione episodica della conoscenza,
ma solo quella che Stern chiama conoscere relazionale implicito.
Quindi l’essere umano è primariamente intersoggettivo. Infatti, il sistema di mirroring, quindi non
attraverso la mera imitazione, ma attraverso la comprensione dell’obiettivo e del significato del suo
gesto, cioè attraverso la motivazione, e quindi una comprensione immediata del significato del gesto
dell’altro.
L’esperimento di Trevarthen ci dice che già dalle prime settimane di vita, il neonato è capace di avere
una conversazione in sintonia con l’altro, tant’è vero che se lo sperimentatore introduce uno
sfasamento nella sequenzialità il bambino lo percepisce. Quindi la mente non è in isolamento, una
mente isolata non esiste. Questo implica il tirarci continuamente in ballo all’interno dalla
psicoterapia (importante avere una teoria che ci guidi a farlo).
Non esiste solo l’intersoggettività primaria, ma anche secondaria, che richiede maggiori capacità
metacognitive e la consapevolezza che l’altro ha una mente come ce l’ho io, questa si svilupperà
intorno ai 3-4 anni con la teoria della mente. Questa richiede quindi una capacità di pensare l’altro
come pensante.
Il conoscere relazionale implicito si fonda sulla coscienza. Basti pensare agli esperimenti di
deprivazione sensoriale: non distinguiamo il sonno dalla veglia dopo 48 ore.
La coscienza intersoggettiva si fonda su una conoscenza implicita di tipo relazionale, ma bisogna
ricordare che esiste una forma di coscienza legata al conoscere esplicito, meno intersoggettiva e
meno influenzata dai neuroni specchio.
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RIASSUNTO LIBRO: LEZIONI DI PSICOTERAPIA GIOVANNI LIOTTI

Prima parte ATTACCAMENTO E INTERSOGGETTIVITÀ: come possiamo concettualizzare il contatto del neonato con il mondo sociale? Intersoggettività= sincronizzazione emotiva e cognitiva Trevarthen ha dimostrato che il bambino nonostante NON riesca ancora a tenere la testa dritta incrocia lo sguardo della mamma che gli inizia a dire parole dolci ( motherese ), entrambi sorridono, il bambino sembra interessato allo scambio al quale partecipa attivamente. Questa non è imitazione, lo ha dimostrato con un esperimento: fa interagire la mamma e il neonato attraverso due schermi televisivi: la madre vede il viso del piccolo sullo schermo e il bambino a sua volta vede il volto della madre sullo schermo. Il neonato non mostra disagio davanti lo schermo, e l’interazione appare gioiosa. Sia di persona sia attraverso lo schermo parla con la madre allo stesso modo. Ma quando viene cancellato un fotogramma e inserisce il fotogramma successivo, manipolando la fluidità dei tempi della risposta materna al comportamento del bambino e interrompendo il ritmo dell’interazione, per cui il bambino si trova di fronte ad una sfasatura temporale di pochi secondi. Infatti, se ci fosse imitazione non dovrebbe esserci nessun cambiamento, farebbe lo stesso gesto che vede sullo schermo indipendentemente dalla sfasatura temporale. Quindi il bambino non imita la mamma, ma ha una proto-conversazione o intersoggettività primaria (vocalizzi, espressioni del volto e movimenti delle mani). Un bambino di due settimane non può attingere ad una conoscenza esplicita , poiché il neonato non ha la versione semantica e né la versione episodica della conoscenza, ma solo quella che Stern chiama conoscere relazionale implicito. Quindi l’essere umano è primariamente intersoggettivo. Infatti, il sistema di mirroring, quindi non attraverso la mera imitazione, ma attraverso la comprensione dell’obiettivo e del significato del suo gesto, cioè attraverso la motivazione, e quindi una comprensione immediata del significato del gesto dell’altro. L’esperimento di Trevarthen ci dice che già dalle prime settimane di vita, il neonato è capace di avere una conversazione in sintonia con l’altro, tant’è vero che se lo sperimentatore introduce uno sfasamento nella sequenzialità il bambino lo percepisce. Quindi la mente non è in isolamento, una mente isolata non esiste. Questo implica il tirarci continuamente in ballo all’interno dalla psicoterapia (importante avere una teoria che ci guidi a farlo). Non esiste solo l’intersoggettività primaria, ma anche secondaria , che richiede maggiori capacità metacognitive e la consapevolezza che l’altro ha una mente come ce l’ho io, questa si svilupperà intorno ai 3-4 anni con la teoria della mente. Questa richiede quindi una capacità di pensare l’altro come pensante. Il conoscere relazionale implicito si fonda sulla coscienza. Basti pensare agli esperimenti di deprivazione sensoriale: non distinguiamo il sonno dalla veglia dopo 48 ore. La coscienza intersoggettiva si fonda su una conoscenza implicita di tipo relazionale, ma bisogna ricordare che esiste una forma di coscienza legata al conoscere esplicito , meno intersoggettiva e meno influenzata dai neuroni specchio.

Lyons-Ruth sottolinea un aspetto cruciale per la pratica clinica: mantenere distinta la conoscenza implicita da quella esplicita ci permette di comprendere cosa accade quando una parte della conoscenza implicita non riesce a passare nella coscienza esplicita. In tali situazioni, anche se una persona desidera utilizzare la propria coscienza di ordine superiore per raccontare ciò che è accaduto, non è in grado di farlo. Ne consegue che il contenuto non mentalizzato verrà agito, attraverso un enactment, anziché essere narrato o elaborato verbalmente. Questo bisogna tenerlo presente nei pazienti gravi o con gli adolescenti o i bambini, ossia che non si possono usare le parole per agire su un problema, perché non è possibile al livello esplicito. Infatti, Lyons Ruth sostiene che se si trattasse solo di elementi rimossi, sarebbe possibile raggiungerli con le parole, ma non sono rimossi, non hanno mai fatto parte del conosce esplicito, sono sempre rimasti a livello del conoscere implicito. Quindi agire con un’interpretazione o con una tecnica non funzionerà. Noi umani abbiamo una teoria di un certo aspetto dell’ambiente, diversamente dagli animali. Anche un neonato ha delle rappresentazioni es: sistema dell’attaccamento, quindi una rappresentazione della corporeità abbracciante e consolante dell’altro o il sistema termoregolatore, quindi una rappresentazione degli aspetti termici dell’ambiente. Quindi differenza tra

  • Istinto : programma comportamentale innato chiuso. La mia reazione è automatica. Es: stimolo acustico improvviso aumenta la frequenza cardiaca.
  • Sistema innato ambientalmente labile : la labilità ambientale è molto più ampia, per esempio, possiamo memorizzare una mamma sorridente, una mamma incupita o spaventata. La memorizziamo, e plasmiamo fin dall’inizio la nostra disposizione a cercare la vicinanza su quella molteplicità di visi e di espressioni. Mentre l’animale non ha quella necessità. Infatti, noi possiamo mettere in atto molti comportamenti, ma in uno specifico ambito abbiamo la tendenza a comportarci in un particolare modo che produce una conseguenza che ci salva la vita, in virtù di un adattamento dawiniano es: quando c’è una situazione di pericolo e hai una persona vicino a te della tua specie cerchi la sua vicinanza perché hai più probabilità di sopravvivenza. L’ encefalizzazione serve a sostenere le sofisticate capacità cognitive, come il linguaggio, l’attenzione condivisa, la condivisione degli scopi e l’empatia… queste attività promuovono le interazioni sociali cooperative. Quindi il linguaggio non solo non fonda la relazione umana, ma è permesso dalla relazione umana. Cervello tripartito di MacLean: l’essere umano ha tre cervelli coniugati
  1. Cervello rettiliano : sistema evoluzionisticamente più antico, così chiamato perché già presente nei rettili. Si estende nelle reti neurali del tronco encefalico e regola condotte che riguardano l’alimentazione, la predazione, la risposta attacco fuga (sistema di difesa) e la difesa da ogni minaccia alla sopravvivenza. Inoltre, si verifica la falsa rabbia , ossia cessa l’inibizione da parte del cervello limbico. Le motivazioni rettiliane hanno il primato, e quando sono soddisfatte, quelle di ordine superiore possono affermarsi e comportano qualcosa che non chiamiamo più sensazione, ma emozione. Le emozioni sono corporee e relazionali, di un corpo in relazione, mentre le sensazioni sono corporee, con per esempio qualcosa da mangiare. L’aggressività non è ancora collera, ma un prototipo di una futura emozione. Allo stesso modo, il rettile scappa, quindi ha il sistema di difesa, che contiene aggressione e fuga, che diventeranno paura e collera nel sistema limbico. Quindi la rabbia-paura del sistema agonistico è diversa da quella del sistema di attaccamento

Es: “ho pensato che venire il martedì mi è scomodo, voglio venire il mercoledì”, potrebbe essere interessante vedere che tipo di sistema è in gioco. Perché dire va bene, cercherò di organizzarmi è accudimento. Se invece “adesso vediamo se è possibile, ma mi spiega? Mi fa capire meglio la sua esigenza?” negoziando potremmo scoprire che è venuto in seduta con il sistema agonistico attivo. L’intersoggettività richiede sintonizzazione. Quindi i sistemi: Attaccamento, accudimento, competizione, sessualità, gioco sociale, cooperazione sono tutti uniti dall’intersoggettività o senso di sé. Il pz tenderà ad applicare alla relazione con il t memorie, aspettative e i significati costruiti nelle relazioni con le figure di attaccamento. L’attivazione dei SM è in grado di modulare le capacità empatiche e metacognitive facilitandole e inibendole per questo è importante andare a monitorare… LA FORMAZIONE DEL CASO CLINICO: la ricerca del piano del pz, i test e le credenze patogene nella formulazione del caso: il pz è guidato nella relazione terapeutica da un piano non cosciente ( inconscio cognitivo ), che lo spinge a cercare attivamente condizioni di sicurezza nella relazione. Per esempio, se veniamo da una storia che ci ha impedito di sentirci sicuri nella relazione con gli altri, soprattutto nelle relazioni che implicano affettività, quella insicurezza rimarrà stabilmente e si verificherà in ogni relazione. Pertanto, il pz cercherà condizioni di sicurezza anche nella relazione con noi e non le troverà, perché avrà un ostacolo nei suoi MOI di attaccamento insicuro, cioè le sue memorie, aspettative e previsioni, per esempio di non essere considerato, di non essere oggetto di attenzione… questo perché ha avuto genitori assenti, vulnerabili, tristi… Come viene percepita una difficoltà da parte del terapeuta?

  • Può sentirsi in dubbio tra due opzioni e non sa quale scegliere. Non si sa se astenersi, o intervenire e quindi privandolo della libertà di ragionamento. Es: pz impulsiva che vuole interrompere la sua relazione, nonostante quella relazione gli farebbe bene.
  • Emozioni negative provate nel dialogo con il pz: vergogna, collera, impotenza oppure noia (proviamo sonno, ma in realtà questo segnala che il pz sta entrando in uno stato alterato di coscienza e ci porta con sé nella trance. Sintonizzazione con l’esperienza frammentata del pz). Il pz può arrivare a confutare le credenze patogene, quindi le aspettative negative non coscienti, frutto delle esperienze traumatiche nelle relazioni di attaccamento. Le credenze patogene sono portate nella relazione terapeutica come in tutte le relazioni, come enactment, quindi messe in atto. Es: pz che dice che vuole lasciare la terapia, ma il t dice che non è d’accordo; oppure il pz dice che ha trovato un buon lavoro fuori città, ma riferisce al t che non può cogliere l’occasione perché la terapia sta andando bene, e il t dice non sono d’accordo, deve accettare il lavoro. Quindi cercava di gratificare il terapeuta come era abituato a gratificare le aspettative dei genitori senza esserne consapevole. Bisogna cercare di capire che cosa sta succedendo nella relazione. Quindi il pz metterà in atto dei test attraverso il suo MOI es: potrebbe saltare le sedute oppure chiedendo di allungarle.

Credenze patogene = nascono per adattarsi al contesto, come un ambiente traumatico durante l’infanzia, quindi inizialmente sono adattative. Diventano patogene perché generano sofferenza. Inoltre, spesso sono implicite.  Uno dei compiti della psicoterapia è quello di modificare le strutture di significato, modificando le risposte neurofisiologiche. Modello di formulazione del caso (MOTTIR): formulare un caso significa mettere in ordine le informazioni disponibili, prendendo nota fin dall’inizio gli obiettivi del paziente, quindi che cosa ci ha proposto nel momento in cui abbiamo sviluppato insieme il contratto terapeutico e avviato l’alleanza terapeutica? Questo determina un primo avvio alla cooperazione  l’alleanza terapeutica è andare insieme verso la stessa meta concordata  il pz difficile avrà difficoltà a proporre una meta. Inabilità nella memoria episodica es: non riuscire a fare un esempio Inoltre, si deve chiedere quali sono gli ostacoli che si oppongono a queste mete , cioè che cosa sta impedendo al pz di raggiungere le mete. Questi ostacoli sono le credenze patogene del pz es: non è possibile stare bene in una relazione con me, perché io sono pesante. Prima di aver raggiunto una alleanza sufficiente ci si dovrà limitare a registrare quello che il pz riferisce es: padre alcolista (la fase del lavoro sui traumi è una fase avanzata e spesso non inizia prima che sia passato un anno) Il test non vuol dire che è il terapeuta ad essere messo alla prova, ma il pz sta mettendo inconsapevolmente alla prova le proprie credenze patogene all’interno della relazione terapeutica come degli agiti, non come cose su cui riflettere. Quindi nella concettualizzazione dei casi sarà meglio partire dalla disponibilità di informazioni precedenti, che spesso non ci sono, esaminare gli agiti del pz e capire che tipo di test è in atto. Le condizioni di sicurezza raggiunte favoriscono la capacità di ricordare le esperienze relazionali traumatiche e di riflettere criticamente su di esse. Se invece le risposte del terapeuta sono tali da confermare le credenze patogene del paziente si assiste ad una crescente insicurezza della relazione e inautenticità del dialogo terapeutico. Ci sono diverse tipologie di test:

  • Test di transfert : il t è in dubbio tra due scelte che può fare e gli sembrano entrambe sbagliate, o insoddisfacenti, o rischiose. In questo caso però la relazione terapeutica non subisce grandi scossoni sul piano emozionale, come se il paziente riconoscesse non tanto la cooperazione quanto l’autorità benevola del terapeuta.
  • La trasformazione da passivo in attivo : il t prova emozioni negative di paura, collera, colpa e vergogna. In questi casi il pz ha memoria di uno schema interpersonale; quindi qualcosa di circolare tra due persone, in cui è stato passivo e adesso invece diventa attivo e il t si ritrova in una condizione di passività. L’attacco può essere agito più o meno con aggressività, o in forma passivo-aggressiva es: “non c’è nulla da fare”, in cui il t si sente che tutti i suoi tentativi di proporre una visione sono bloccati. Pro-plan : confutano la credenza patogena del pz. Determineranno un maggiore insith e un maggiore impegno nel lavoro sulla meta, oltre una maggiore comprensione. Anti-plan : confermano la credenza patogene, e aumenteranno e rafforzeranno la credenza (che si oppone alla realizzazione della meta). Inoltre, possono generare ansia, inquietudine, malessere

L’operazione principale che il t deve fare per avviare l’alleanza terapeutica consiste nell’assumere un atteggiamento cooperativo. I principali ostacoli alla costruzione dell’alleanza sono:

  • Relazione di ruolo : prima ancora che il pz entri nella stanza, la relazione asimmetrica sia nelle aspettative che in quelle del pz. Questo perché esistono una serie di automatismi che dicono che tale relazione di ruolo non è paritetica. Tali automatismi sono già predisposti nei ruoli, ci conducono ad atteggiamenti, modi di parlare, toni di voce. Infatti, la relazione con il medico è centrata su una asimmetria, sia sul piano dell’attaccamento-accudimento “curami, dammi sollievo” , sia sul piano del rango: “ tu medico, ne sai più di me”. Pertanto dobbiamo contrastare la relazione di ruolo, quindi fin dall’inizio si dovrà cercare di impostare un’interazione su un piano collaborativo e paritetico (es: minimizzare le domande soprattutto quelle che non hanno a che fare con quello che la persona potrebbe indicarci come motivo per essere lì, perché chi fa le domande conferma la dimensione di ruolo anziché convalidare il tentativo di costruire un clima di alleanza). Come i rating scale, che non fanno altro che confermare la relazione di ruolo. Bisogna ridurre al minimo tutto ciò che conferma come le domande e le prescrizioni, e aumentare gli scambi che segnalano la pariteticità, per esempio avendo un ascolto empatico e ricorrendo alla validazione emozionale “capisco, da quello che mi racconta che deve essere stato un brutto momento”. Inoltre, una buona prassi come suggerisce Carl Rogers è quella di usare i termini che ha usato il pz , non i sintomi più eleganti. Importante concentrarsi sulle risorse e non sui deficit, che non ci vengono dette, ma che dobbiamo riconoscere noi, e se non riusciamo a vedere nessuna risorsa probabilmente è lontano l’accesso al sistema cooperativo. Infatti, risorse significano guardare ciò che dà accesso al sistema cooperativo, serve per trovare argomenti che si scambiano tra pari. Es: ha finito l’uni, è capace di reggere il rapporto da tre anni, ed è sopravvissuta a quell’orrore. Arriva la pz, mi alzo e le vado incontro e le dico “Piacere, Liotti”, e la accompagno allo studio. Infatti, essere accompagnata dalla segretaria confermerebbe la relazione di ruolo, mentre è diverso da andare in sale e stringerle la mano e dirle Piacere… chiedendole il nome. Dopo essersi accomodata le dico “le dispiace se le faccio qualche domanda, perché così potrò capire meglio quando mi racconterà un po' di cose di sé fra qualche minuto?” Le chiedo il permesso, perché so che è da maleducati. Solitamente sono stupiti e la risposta spesso è positiva:
  • Posso chiederle il nome di battesimo
  • Posso chiederle quanti anni ha, se lavora e se vive con qualcuno Non mi interesserà chiederle altro che non possa dirmi lei quando vorrà, in quanto la alleanza è la priorità assoluta.
  • Come mai è qui, cosa l’ha portata da me?
  • Qualsiasi cosa dica, tu sei lì ad ascoltarla non che sintomi ha… è una pari ed io sto assumendo un atteggiamento collaborativo perché la mia priorità è la costruzione dell’alleanza. Parità non vuol dire uguaglianza, non di uguali competenze. Sarà importante ascoltare quello che vuole raccontare e non troncate il suo turno di conversazione troppo spesso, aspettate che vi lasci il vostro turno di conversazione e intanto ascoltate con estrema cura quello che vi dice.

Nel frattempo state attenti a tutte le informazioni che alludono a sintomi psicopatologici es: rossore possibile ruolo importante della vergogna in questa persona? Se ci rispondesse no preferisco mi faccia lei le domande? Certo che posso farle delle domande se questo la fa sentire più a suo agio, come mi dice lei. Quand’è che ha deciso di venire da me? Che cosa aveva in mente quando ha preso questa decisione? Oppure, ci riferisce di avere gli attacchi di panico, se chiedi : “quali, quando, quanto, il primo in che data?”  si perde di vista l’alleanza. Per mantenere un atteggiamento collaborativo, si potrebbe chiede: “a partire da questo problema che mi ha descritto così efficacemente, che cosa desidererebbe ottenere dal nostro lavoro insieme?” e a questo punto esploriamo gli obiettivi , valutiamo se possiamo aderirvi. Sui sintomi ci sarà tempo per approfondire, ma prima il terapeuta invita il pz a definire la meta che desidera raggiungere. Questo è il tentativo di impostare fin dall’inizio l’interazione sul piano collaborativo. INDAGARE GLI OBIETTIVI DEL PAZIENTE: una volta chiesto l’obiettivo si dovrà esplorarlo insieme al paziente. Non si può dare per scontato che si possa costruire un’alleanza sugli obiettivi perché si può verificare che:

  • Il paziente non esplicita nessun obiettivo : se non lo esplicita infatti non si potrà mettere in contatto i due sistemi cooperativi del pz e t. Tali pz potrebbero essere pazienti difficili. Infatti, il pz potrebbe limitarsi ad indicare la propria sintomatologia. Questo renderà impossibile l’alleanza, e tale impossibilità è un indice prognostico negativo.
  • Il pz mostra degli obiettivi, che potrebbero essere anche accettabili, come “stare meglio”, ma ci accorgiamo che questo stare meglio è legato al senso di totale impotenza , come se dicesse “il mio stare meglio è qualcosa che conseguirai tu, perché io sono impotente”. Ovviamente ciò la maggior parte delle volte rimane ad un livello di conoscenza implicita e tale configurazione determinerà una situazione di test continuo, in cui la credenza patogena sottostante è “l’unico modo che posso fare è trovarmi un salvatore”. Una possibile direzione quando ci sono obiettivi dichiarati è quella della co-terapia. Quando il pz pone un obiettivo come “guariscimi tu” sarà necessario riformularlo in maniera che sia chiaro che chi può controllare il comportamento sia la persona stessa: “se ho capito bene, lei mi dice che vorrebbe che ci impegnassimo insieme a esaminare tutte le difficoltà che lei trova a tenere il controllo sul suo comportamento alimentare, su ciò che mangia, su ciò che compra?”  quindi appena sospettiamo che ci possa essere l’idea del “tu lo farai per me” , lo riformuliamo immediatamente. Questo descrive il passaggio dall’esplorazione degli obiettivi alla formulazione del contratto terapeutico chiaro.
  • Il pz propone un obiettivo eticamente inaccettabile e contrario all’etica professionale : es: “mi aiuti ad uccidermi, che io non ho il coraggio di farlo”. Bisognerà essere autentici, nell’alleanza abbiamo uguali diritti e dovere, non più doveri per il fatto. Che quello è il paziente e noi i terapeuti. Uguale significa uguale, pari dignità è pari dignità. Infatti, i doveri appartengono al sistema di rango.
  • Il pz propone degli obiettivi caratterizzati da una evidente paradossalità : es: pz con anoressia che vuole essere aiutata a dimagrire perché si sente grassa. Sarà importante riferire che non si può aderire al suo obiettivo, per spiegarlo sarà necessario riformularlo : “se le andasse di lavorare insieme sul cercare di capire se, per caso, sta cercando di risolvere troppi problemi diversi, attraverso il dimagrire, potrebbe essere interessarlo farlo” , questo sarebbe

Quindi far riferimento a quello che Safran definisce come marcatori interpersonali , che si basano sull’osservazione nel nostro stato motivazionale. L’importante è riconoscerli e utilizzarli per creare l’assetto motivazionale più vantaggioso per la terapia. I sentimenti di cooperazione paritetica sono caratterizzati da serenità, in quanto c’è una condivisione della responsabilità tra noi terapeuta e paziente, in quanto siamo entrambi di pari dignità. Come possiamo sapere se anche il pz ha provato lo stesso sentimento? Con i neuroni specchio , il fatto che lo abbiamo provato noi potrebbe essere una garanzia di un sentimento condiviso. IL SENSO DI RIPARARE L’ALLEANZA TERAPEUTICA: la rottura dell’alleanza è caratterizzata dall’emergere dei cicli interpersonali patogeni del paziente, questa potrebbe essere l’occasione per affrontare la patologia e lavorarci. Questo ovviamente è un momento delicato, ed è consigliabile discuterne con un collega per chiarire cosa è accaduto e come interpretarlo al meglio. Questo processo è possibile solo se il t ha monitorato il sentimento di cooperazione sia in sé stesso che nel pz durante tutti gli incontri, perché è proprio così che può cogliere le variazioni nel percorso. L’ intervisione , ossia la consulenza tra pari, è consigliabile secondo Liotti alla supervisione classica, in quanto si basa sulla cooperazione. Il confrontarsi accresce le capacità metacognitive, e potrebbe aiutare a comprendere meglio il pz. LE FLESSIONI E ROTTURE DELL’ALLEANZA: le flessioni dell’alleanza sono il momento in cui l’alleanza terapeutica subisce temporaneamente deviazione, indirizzandosi verso un altro sistema motivazionale, mettendo in secondo piano quello cooperativo. È significativo osservare la direzione in cui avvengono queste flessioni, poiché ci rivelano lo specifico stile relazionale del paziente.

  • Flessioni legate all’attivazione del sistema dell’attaccamento : “ma che dice, posso farcela?”. Questi momenti sono i più frequenti e sono legati all’attivazione del sistema di attaccamento.
  • Flessioni legate all’attivazione del sistema di difesa o del rango : “quelli imbecilli, di cui non posso fare a meno”. È importante prestare attenzione a queste espressioni perché potrebbero configurare una rottura dell’alleanza.  L’alleanza si sta flettendo perché l’attenzione del paziente si sta allontanando dall’obiettivo comune. Le nostre emozioni possono confermare questo cambiamento es: mentre il pz critica i medici noi proviamo indignazione e difesa; è fondamentale accorgersene e monitorarlo, in modo da poterlo raddrizzare in seguito.  Per farlo, si può ricordare l’obiettivo concordato come: “ricordiamoci che il lavoro che abbiamo concordato era finalizzato a … e mi sembra che, alla luce di ciò che sta dicendo…”. In questo modo, confermiamo che ci ricordiamo dell’obiettivo comune e che, a meno che il pz non esprima qualcosa di diverso, stiamo lavorando per aiutarlo a raggiungerlo.  Prestare attenzione a queste flessioni dell’alleanza ci permette di iniziare a comprendere quale schema relazionale sia implicato nelle inevitabili rotture dell’alleanza, particolarmente con i pz più gravi. Esistono diverse tipologie di rotture dell’alleanza, ciascuna caratterizzata da un comportamento specifico, più che dal sistema motivazionale sottostante.
  • Rotture legate al sistema di attaccamento
  • Rotture legate al sistema di rango, sia nella forma di dominanza sia in quella di sottomissione. Es: “non valgo nulla, lei è più bravo”.

Le rotture da confronto sono una chiara attivazione del sistema di rango es: quello che mi ha detto non serve a nulla, sottintendendo un giudizio sulla nostra competenza. Quando sentiamo un misto di imbarazzo, senso di colpa, stiamo percependo la perdita del sistema cooperativo e l’entrata del sistema di rango e ce ne possiamo accorgere anche dai pensieri congruenti es: “mi sarò sbagliata, non sono capace…”. Nella rottura da confronto, può accadere anche che il paziente percepisca il t come pericoloso e abbia paura della vicinanza; oppure una rottura deliranti paranoicali , poco frequenti es: “sono sicuro che lei ha sparlato di me e che è chiaro che per questo mi hanno licenziato dal lavoro”. Rottura dell’alleanza da ritiro , rientra sempre nella categoria del rango. Il pz appare ipercompliant, facendo tutto quello che il t gli dice, ma il pz si è ritirato dal rapporto ed è come se non fosse in seduta: chiede che cosa deve fare e lamenta l’inefficienza di quello che ha fatto, senza accusando il t, ma accusando sé stesso. Sempre nella categoria da ritiro, è legato all’attivazione contemporanea e conflittuale dei sistemi di attaccamento e di difesa, come nelle patologie conseguenti a disorganizzazione. Il pz può lamentare l’impotenza propria e del terapeuta, e l’inutilità, utilizzando l’autodenigrazione e, raramente, anche attaccando il terapeuta. È il caso del pz che ha paure imminenti nelle relazioni o in svariati contesti, e che vi chiede aiuto, con frequenti richieste di soccorso. Altri Es: pz che non paga le sedute o non si presenta Se il t percepisce una condizione di stallo e il pz non la riferisce è opportuno che comunque il t la riferisca, in quanto le rotture di ritiro potrebbero durare anche anni es: “da qualche tempo ho la sensazione che ci sia come un inciampo nella fluidità del nostro dialogo, ma può darsi che sbagli: ha anche lei questa impressione?” Rotture dell’alleanza di tipo erotizzante , sono centrate sulla sessualità, estremamente rare. Il t contribuisce con una quota maggiore, rispetto al pz e fanno correre anche rischi legali. Sarà importante se non si riesce a gestire interrompere la relazione e inviarlo ad un collega. Es. “dottoressa, se noi potessimo uscire insieme una volta sono sicura che guarirei”. COME RIPARARE UNA ROTTURA DELL’ALLEANZA TERAPEUTICA: MODALITA’ INDIRETTA E DIRETTA: solitamente prima di riparare una rottura c’è una costante flessione dell’alleanza e pertanto sarà importante rendersene conto prima di arrivare ad un livello di inaccessibilità del sistema cooperativo.  La riparazione dell’alleanza ha la precedenza ha la precedenza a qualunque altro intervento che stiamo facendo con il paziente, pertanto non farlo è un errore. Inoltre, ha la precedenza perché è finalizzata alla correzione terapeutica degli schemi interpersonali disfunzionali. Quindi questa priorità è doppia

  • Senza l’alleanza non possiamo fare nulla
  • Possiamo provare a intervenire sul centro stesso della patologia Sarà importante anche di considerare la rottura dell’alleanza senza atteggiamenti giudicanti verso di sé, in quanto sono operate da disposizioni umani. Dopo ciò si potrà procedere alla riparazione della rottura, con il suo atto iniziale, immediatamente precedente, che è l’esplicito accordo con il paziente sull’esaminare insieme inizio e caratteristiche della crisi relazionale es: “avrebbe senso per lei se dedicassimo un po' di tempo, ad esaminare questo momento di crisi nel lavoro che stiamo facendo insieme, vedere quando è iniziato…” Ci sono due modalità:

L’illustre medico viennese Josef Breuer è seduto ad un caffè di Venezia dove si trova in vacanza con la famiglia. È in attesa di una donna, Lou Salomè, e si interroga su chi sia e su che cosa desideri da lui. “Dottor Breuer, devo vedervi per una questione di grande urgenza. Il futuro della filosofia tedesca è a repentaglio. Vi prego di volervi incontrare con me domani mattina alle nove al Caffè Sorrento. Lou Salomè”. È immerso nei suoi pensieri quando all’improvviso scorge una donna che con passo sicuro gli si avvicina. Una donna di una bellezza inusuale, decisa ed elegante. Senza esitazione Lou Salomè inizia a spiegargli perché ha richiesto l’incontro: il filosofo e suo personale amico Friedrich Nietzsche si trova in uno stato di profonda disperazione con sintomi fisici gravi quali tormentose emicranie, continui accessi di nausea, cecità, disturbi gastrici e capogiri. Non riesce a dormire e per questo assume dosi pericolose di morfina. La donna ha paura che l’amico possa arrivare a suicidarsi. Nessun medico è stato in grado di capire la sua malattia né di alleviare i suoi sintomi, così lei si è rivolta a Breuer medico personale di grandi scienziati, artisti e filosofi nonché diagnosta geniale. Breuer ritiene di non poter essere di aiuto al filosofo dato che per la disperazione non vi è medicina come non vi è un medico per l’anima. E’ vero che con la sua paziente Bertha Pappenheim, alias Anna O., la tecnica sperimentale da lui denominata “cura basata sul parlare” aveva funzionato almeno in parte e la paziente aveva avuto dei giovamenti ma Breuer nutre dei dubbi che possa funzionare con questo paziente, data la natura ideale dei suoi sintomi. La cura da lui provata con Anna O. la quale presentava tutti i sintomi tipici dell’isteria (disturbi sensori e motori, contrazioni muscolari, sordità, allucinazioni, amnesia, afonia, fobie) si era basata inizialmente sull’eliminazione dei sintomi per mezzo della suggestione ipnotica e in seguito unicamente permettendo alla donna di raccontare nei particolari ogni evento della giornata che l’avesse turbata. “Spazzare il camino”. Nel momento in cui Bertha riusciva a risalire all’origine di un sintomo raccontando al medico tutto comprese le emozioni da lei provate, quel sintomo sembrava scomparire. Purtroppo Breuer non aveva più in cura quella giovane donna e, a causa della gelosia di sua moglie Mathilde, era stato costretta a trasferirla al sanatorio di Binswanger a Kreuzlingen. Da allora non aveva mai smesso di pensare a lei, si preoccupava per la sua salute, la sognava ogni notte e desiderava rivederla, toccarla. Settimane più tardi Breuer riceve una nuova visita di Fräulein Salomè. La donna racconta al medico come ha conosciuto Nietzsche e quali fossero i loro rapporti. Aveva fatto la sua conoscenza otto mesi prima tramite Paul Rée, anch’egli filosofo amico di Nietzsche. Da allora aveva avuto inizio tra loro un ménage à trois casto, intellettuale, basato su lunghe discussioni filosofiche. La loro trinità era andata però sgretolandosi a causa delle influenze negative della madre e della sorella di Nietzsche che non vedevano di buon occhio la situazione e dell’interesse amoroso e fisico che Paul Rée aveva sviluppato nei confronti di Lou e che aveva portato i due uomini a frequenti litigi. La donna si era trovata costretta a porre fine al loro rapporto connotato da troppo dolore e da troppe intrusioni. Breuer ascolta il racconto interessato e dubbioso al tempo stesso. Accetta di incontrare Nietzsche con la clausola di non fare menzione di Fräulein Salomè né del fatto che la donna gli avesse lasciato i libri non ancora pubblicati di Nietzsche. Due settimane più tardi Breuer riceve Nietzsche nel suo studio e lo invita a raccontare con precisione i suoi sintomi e a descrivere i suoi dolorosi attacchi di emicrania. Poi procede con l’anamnesi e con l’esame fisico. Nonostante l’abbondanza di sintomi riportati dal paziente tuttavia non trova alcuna anomalia fisica. Alla parola ‘disperazione’ azzardata da Breuer nel tentativo di andare oltre il filosofo tende a bloccarsi e a cambiare discorso, al tentativo del medico di ricollegare i sintomi fisici a difficoltà psicologiche e sociali Nietzsche ribadisce che la malattia c’era già prima che lui provasse ad avvicinarsi agli altri per esserne tradito. Nietzsche quindi non aveva alcuna intenzione di discutere e neanche di ammettere l’esistenza nel proprio intimo di uno stato di disperazione. “Stava fingendo oppure non avvertiva la disperazione perché aveva già deciso per il suicidio?” Inizia così la cura di Friedrich Nietzsche alias Eckart Müller basata prima sui farmaci per ridurre i sintomi fisici e poi sul parlare. Ma la cura non è così facile: Nietzsche si mostra seccato ogni volta che Breuer mostra comprensione ed empatia ed interpreta qualsiasi espressione di sentimenti positivi come una

sfida di potenza. “Aprirsi a vicenda è il preludio del tradimento e il tradimento fa star male, no?”. Inoltre vive la sua malattia come un qualcosa di positivo che gli ha permesso di staccarsi dalla vita universitaria che non desiderava più. Un qualcosa che gli ha permesso di emanciparsi. “Tutto ciò che non mi uccide mi rafforza”. Lo stress, proposto da Breuer come causa sottesa di emicrania e che può derivare da diversi fattori psicologici, viene escluso da Nietzsche: proprio rinunciando alla vita lavorativa e sociale è riuscito ad eliminare del tutto lo stress dalla sua vita. Ma, come dice Breuer, l’estremo isolamento non elimina affatto lo stress, è stress esso stesso: la solitudine è un terreno di coltura della malattia. Alla proposta del medico di ricoverarlo per un mese in modo da tenere sotto osservazione i suoi attacchi di emicrania Nietzsche rifiuta e se ne va dallo studio, ma la sera stessa Breuer viene svegliato dal portiere del gasthaus dove risiede il filosofo. Sta molto male. Ha un attacco di emicrania molto forte e ha ingerito troppo idrato di cloralio. È privo di sensi. Breuer riesce a placare l’attacco con farmaci e massaggi. Avvicinandosi a lui sente che sta sussurrando: “Aiutami, aiutami, aiutami, aiutami!”. Un altro Nietzsche, capace di chiedere aiuto. Nel momento in cui Nietzsche si reca nello studio di Breuer per chiudere ogni rapporto, il medico ha già escogitato un piano. Ha deciso di calarsi lui nei panni del paziente chiedendo al filosofo di curarlo, di guarirlo dalla sua disperazione. Infatti, anche se la sua vita all’apparenza sembra essere appagante egli si sente profondamente disperato, oppresso dai doveri e dalla famiglia, preoccupato di invecchiare e terrorizzato all’idea di morire. Sente che gli manca il coraggio di cambiare vita o di continuare a viverla. “Vi chiedo solo di ascoltarmi, interrompendomi con tutte le osservazioni che vorrete”. Il patto tra i due stabilisce che Nietzsche si sarebbe impegnato nell’aiutare Breuer a risolvere la sua disperazione e che lui si sarebbe fatto ricoverare alla clinica Lauzon per accertamenti e controlli. Lo scopo di Breuer è ovviamente diverso: egli vuole arrivare indirettamente alle radici del male del filosofo, invitandolo ad esprimere apertamente la sua disperazione e a liberare la coscienza nascosta. Favorire l’integrazione dell’inconscio come gli ha suggerito il suo caro amico Sigmund Freud. Inizia così un doppio rapporto terapeutico. Breuer si reca ogni giorno alla clinica per visitare Nietzsche e valutare l’andamento dei suoi sintomi e Nietzsche si impegna nell’ascoltare e consigliare il medico. Nel corso degli incontri Breuer racconta al filosofo ogni aspetto della sua vita che gli crea angoscia: Bertha a cui pensa costantemente e che desidera più di ogni altra cosa, la sua ex assistente e amica Eva che ha dovuto licenziare sempre per la gelosia della moglie, la vita familiare che avverte sempre più oppressiva e costretta e il suo rapporto con la moglie. Piano piano Breuer prende consapevolezza del fatto che la sua angoscia è reale e profonda. Nietzsche in modo molto razionale lo invita ad andare a fondo: a ricercare il significato dei suoi sintomi cercando di farlo riflettere su come sarebbe la sua vita senza di essi. I sintomi sono portatori di un messaggio che solo nel momento in cui verrà compreso permetterà la loro scomparsa. Forse anche Nietzsche sta prendendo coscienza. La svolta nella vita di Breuer arriva quando Nietzsche lo porta a comprendere che la vita va vissuta al momento giusto; la morte non fa paura se si muore dopo aver consumato la vita. Per vivere però bisogna scegliere. Questo non aveva mai fatto Breuer: scegliere. Ma che cosa avrebbe dovuto scegliere? La scelta per lui, divenutone consapevole, è scegliere lui stesso la propria vita: sua moglie, il suo lavoro, i suoi amici. Riappropriarsi di questa vita ed essere felice di averla finalmente scelta. E Nietzsche? Breuer sente di non poter fare molto, se non essere onesto con lui, essergli amico. Ed è proprio questo che alla fine il filosofo desidera più di tutto: un focolare. Non morire in solitudine. Essere amato e toccato. E così le lacrime iniziano a scendere sul suo viso. Lacrime soffocate a lungo che adesso reclamano la libertà. Nel momento in cui esprime la propria solitudine a qualcuno questa non esiste più e neanche la disperazione che da essa deriva. Le lacrime forti sono purificatrici. Entrambi liberati, Breuer e Nietzsche si salutano e riprendono i propri separati destini. Il romanzo di Yalom basato su informazioni in parte veritiere mette in luce aspetti importanti della psicoterapia. Innanzitutto, la parola come possibilità di liberarsi dalle angosce che causano i sintomi. La cura basata sul parlare, elaborata da Breuer in collaborazione con Freud e che Anna O. stessa ha