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Tipologia: Schemi e mappe concettuali
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Il principio democratico-repubblicano è espresso nell’ articolo 1.1 Cost. L’articolo di apertura della Costituzione italiana esprime l’essenza stessa della Repubblica, affermando il principio democratico e sancendo il riconoscimento della forma di Stato repubblicana, basata sulla sovranità popolare. L’espressione “Repubblica democratica” significa che tutti i cittadini hanno il diritto a quelle libertà che nessuno può violare né limitare. Inoltre, il Costituente ha sancito il riconoscimento del valore del lavoro, inteso come fondamento dello Stato ed importante strumento democratico di sviluppo della personalità umana, nonché “mezzo” per stimolare e far crescere il progresso materiale e spirituale della società.
Il principio di eguaglianza è disciplinato dall’ articolo 3 Cost. Nel primo comma viene espresso il principio di eguaglianza formale, nonché una serie di specifici divieti di discriminazione (il cosiddetto nucleo forte dell’eguaglianza), mentre nel secondo comma vi è il principio di eguaglianza sostanziale:
La sovranità può definirsi come quel potere d’imperio originario, in quanto sorge con la nascita dello Stato stesso, esclusivo, poiché compete solamente ad esso, ed incondizionato, dal momento che non incontra alcun limite giuridico all’interno del territorio nazionale. Essa ha due aspetti: interno ed esterno. Quello interno consiste nel supremo potere di comando in un determinato territorio, che è tanto forte da non riconoscere nessun altro potere al di sopra di sé. Quello esterno consiste, invece, nell’indipendenza dello Stato rispetto a qualsiasi altro Stato. I due aspetti sono strettamente intrecciati: lo Stato non potrebbe vantare il monopolio della forza legittima e quindi il supremo potere di comando su un dato territorio se non fosse indipendente da altri Stati. Dopo l’affermazione dello Stato moderno, si è posta la questione di chi esercitasse effettivamente il potere sovrano. A tal proposito sono state poste tre teorie:
In certi casi la Costituzione riconosce a tutti la tutela dei diritti, in altri casi solo ai cittadini. Il problema che sorge è se e in quale misura i diritti che la Costituzione riserva espressamente ai cittadini possano essere estesi agli stranieri: l’ articolo 10.2 Cost. pone per la condizione giuridica dello straniero una riserva di legge rinforzata per contenuto. Attraverso un doppio meccanismo, l’interpretazione dei diritti inviolabili alla luce dell’ articolo 2 Cost. , e quindi come diritti inviolabili dell’uomo e non del solo cittadino, e l’applicazione delle garanzie riconosciute agli stranieri in base ai trattati internazionali, a cui le leggi sono vincolate in forza dell’ articolo 10 Cost. , la Corte costituzionale è giunta ad affermare il principio per cui la garanzia dei diritti inviolabili si estende allo straniero anche laddove la Costituzione li attribuisce ai soli cittadini. Tuttavia, occorrono due precisazioni:
→ Allo straniero o all’apolide che risieda legalmente in Italia da almeno 3 anni, se ha un ascendente che sia stato cittadino italiano per nascita o che è nato in Italia,; da almeno 4 anni ed è cittadino di uno Stato della Ue; da almeno 5 anni dopo l’adozione da parte di un cittadino italiano legalmente residente in Italia ed è maggiorenne; da almeno 10 anni in tutti i casi che non rientrano in quelli indicati in precedenza; → Allo straniero che abbia prestato il servizio militare, anche all’estero, per almeno 5 anni alle dipendenze dello Stato italiano. Il cittadino italiano che acquista la cittadinanza di un altro Stato non perde quella italiana, per cui si possono verificare casi di doppia cittadinanza. La perdita della cittadinanza può avvenire:
Lo Stato moderno nasce e si afferma in Europa tra il XV ed il XVII secolo, comportando un processo di secolarizzazione al termine del quale è stato raggiunto il riconoscimento della laicità dello Stato: vi è una separazione tra la sfera politica e quella religiosa e, quindi, il riconoscimento della libertà di religione come fondamentale diritto dei cittadini. Dal XIX secolo i rapporti tra lo Stato e la religione oscillarono tra due poli opposti:
significa escludere la garanzia del pluralismo religioso e la laicità dello Stato italiano: ciò viene, infatti, assicurato dall’ articolo 3.1 Cost. e dall’ articolo 8 Cost. Dunque, in Italia esiste il principio di laicità, elaborato soprattutto dalla giurisprudenza costituzionale, ed anche la tutela della libertà di coscienza.
La Costituzione è la legge fondamentale dello Stato, stabilisce i principi che sono alla base dell'ordinamento giuridico ed i caratteri essenziali dell'organizzazione politica ed è la fonte primaria della scala giuridica delle fonti del diritto. La Costituzione italiana è nata grazie a delle condizioni assai particolari. Dopo che vent’anni di fascismo, guerre ed eventi internazionali avevano radicalmente mutato l’organizzazione sociale e l’assetto politico del Paese, i membri dell’Assemblea Costituente (556), eletti per la prima volta, non sapevano quale esito avrebbero avuto le prime elezioni politiche che qualche anno dopo avrebbero avviato l’ordinario corso della nuova vita costituzionale italiana. La paura di soccombere ha prevalso sul desiderio di imporsi: perciò, vi fu un’attenzione assoluta per i diritti delle minoranze, la scelta per il sistema parlamentare e per il sistema delle garanzie costituzionali. La nascita della Costituzione italiana fu il frutto di tappe successive:
La Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali è una Convenzione internazionale redatta e adottata nell'ambito del Consiglio d'Europa. È stata firmata a Roma il 4 novembre 1950 dai 13 Stati al tempo membri del Consiglio d'Europa ed è entrata in vigore in Italia il 10 ottobre del 1955, dopo una lunga elaborazione giurisprudenziale. La CEDU è considerata il testo centrale in materia di protezione dei diritti fondamentali dell'uomo perché è l'unico dotato di un meccanismo giurisdizionale permanente che consenta a ogni individuo di richiedere la tutela dei diritti garantiti dalla CEDU, attraverso il ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo, con sede a Strasburgo. I Governi firmatari, membri del Consiglio d’Europa, considerata la Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo, proclamata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, che mira a garantire il riconoscimento e l’applicazione universali ed effettivi dei diritti che vi sono enunciati e considerato che il fine del Consiglio d’Europa è quello di realizzare un’unione più stretta tra i suoi membri attraverso anche la salvaguardia e lo sviluppo dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, hanno convenuto, all’interno dei 59 articoli, l’obbligo di rispettare i diritti dell’uomo, il diritto alla vita, la proibizione della tortura, la proibizione della schiavitù e del lavoro forzato, il diritto alla libertà e alla sicurezza ed il diritto ad un equo processo.
La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), in Italia anche nota come Carta di Nizza, è stata solennemente proclamata una prima volta il 7 dicembre 2000 a Nizza e una seconda volta, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo dal Parlamento, il Consiglio e la Commissione. Con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la Carta di Nizza ha il medesimo valore giuridico dei trattati, ai sensi dell'articolo 6 del Trattato sull'Unione europea, e si pone dunque come pienamente vincolante per le istituzioni europee e gli Stati membri e, allo stesso livello di trattati e protocolli ad essi allegati, come vertice dell'ordinamento dell'Unione europea. Essa risponde alla necessità, emersa durante il Consiglio europeo di Colonia (3 e 4 giugno 1999 ), di definire un gruppo di diritti e di libertà di eccezionale rilevanza e di fede che fossero garantiti a tutti i cittadini dell'Unione. Il progetto è stato elaborato da un'apposita Convenzione presieduta da Roman Herzog, ex presidente della Repubblica federale tedesca, e composta di 62 membri: 15 rappresentanti dei capi di Stato e di Governo degli Stati membri, 1 rappresentante della Commissione europea, 16 membri del Parlamento europeo e 30 membri dei Parlamenti nazionali. La Carta enuncia i diritti e i principi che dovranno essere rispettati dall'Unione in sede di applicazione del diritto comunitario. L'attuazione di tali principi, comunque, è affidata anche alle normative nazionali. Il testo della Carta inizia con un preambolo ed i 54 articoli sono suddivisi in 6 capi i cui titoli enunciano i valori fondamentali dell'Unione: dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza e giustizia. Il settimo capo è rappresentato da una serie di “disposizioni generali" che precisano l'articolazione della Carta con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU). I diritti contenuti nella Carta sono classificabili in quattro categorie:
Le fonti del diritto derivato si distinguono in atti vincolanti e non vincolanti. Gli atti non vincolanti, emanati da ogni organo dell’UE, sono le raccomandazioni UE, ossia gli inviti rivolti agli Stati a conformarsi ad un certo comportamento, ed i pareri, che esprimono il punto di vista di un organo su un determinato oggetto. Le fonti vincolanti sono dei pieni atti normativi che si distinguono in tre tipologie:
verso gli Stati riguardo all'adempimento degli obblighi comunitari. Inoltre, la Commissione può esercitare un controllo indiretto sugli Stati membri attraverso le segnalazioni dei soggetti privati, cittadini ed imprese, relative alla mancata attuazione del diritto comunitario e stabilisce l’ammontare dei Fondi strutturali, cioè dei finanziamenti stanziati dalla Comunità per esigenze di sviluppo economico, occupazionale e formativo degli Stati membri, e la loro ripartizione ai singoli Stati. La Commissione è composta da un numero di componenti pari a quello degli Stati membri, i quali durano in carica cinque anni, sono scelti in base alle loro competenze generali ed alle garanzie di indipendenza offerte e vengono designati di comune accordo dagli Stati membri e dal futuro presidente della stessa. Il Parlamento europeo elegge il presidente (Ursula von der Leyen) su proposta del Consiglio ed approva la composizione della Commissione. Il Parlamento può censurare la Commissione costringendola alle dimissioni. I membri della Commissione sono designati dal Consiglio su proposta degli Stati ma il presidente della Commissione deve essere d’accordo sulla loro designazione, assegna loro le competenze e può chiedere e ottenere le loro dimissioni. Il Vicepresidente della Commissione è l’Alto rappresentante per gli Affari Esteri (Josep Borrell) che rappresenta l’UE nella politica estera;
Sin dall’origine i Trattati istitutivi della Comunità europea ponevano al centro degli obiettivi l’instaurazione di un mercato comune, un mercato interno caratterizzato dall’eliminazione, fra gli Stati membri, degli ostacoli alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali. Questo comportava l’adozione da parte della Comunità e degli Stati membri di una politica economica fondata sullo stretto coordinamento delle politiche degli Stati membri, ispirata al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza. Il mercato unico è stato completato, a partire dal Trattato di Maastricht del 1992, dalla creazione di una moneta unica, l’Euro, cui aderiscono 18 dei 27 Stati membri dell’UE, nonché dalla definizione e dalla conduzione di una politica monetaria e di una politica del cambio uniche, gestite direttamente dalle
istituzioni comunitarie, il Sistema europeo di banche centrali (SEBC), indipendente sia dalle istituzioni nazionali che da quelle europee. Secondo il meccanismo introdotto con l Trattato di Maastricht e confermato dal Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE), la politica monetaria doveva essere condotta a livello sovranazionale dalla BCE, mentre le politiche di bilancio erano di competenza dei singoli Stati. Tale meccanismo, però, non è riuscito ad imporre la riduzione del debito pubblico e del disavanzo di bilancio in modo da assicurare il rispetto dei parametri di Maastricht. Pertanto, per affrontare la grave crisi delle finanze dell’Eurozona, sono state introdotte importanti riforme:
La libertà personale, espressa nell’ articolo 13 Cost. , nella sua accezione più ristretta e storica coincide con la libertà dagli arresti. Il nucleo fondamentale della libertà personale è, dunque, la libertà fisica, la disponibilità della propria persona. Solo lo Stato può limitare la libertà fisica delle persone. Nella prassi giurisprudenziale, l’ambito della nozione di libertà personale ha subito, però, un notevole ampliamento in quanto la garanzia dalla tutela dagli arresti si è estesa anche ad altre forme di limitazione fisica dell’individuo, quali la detenzione, l’ispezione e la perquisizione personale. Tuttavia, non tutte le limitazioni della libertà personale ricadono nel divieto di tale articolo: ne restano escluse quelle di lieve entità, di per sé incapaci di ledere la dignità personale e di costituire delle misure equivalenti all’assoggettamento dell’individuo all’altrui potere. Inoltre, in base a indizi sospetti che certi reati possano essere commessi in futuro, possono essere adottate delle misure di prevenzione come le misure cautelari (l’arresto domiciliare, la carcerazione preventiva, la sospensione da un pubblico ufficio) o le misure di sicurezza (il riformatorio, il ricovero nell’ospedale psichiatrico giudiziario, la libertà vigilata). Gli strumenti di tutela della libertà personale sono i più forti che la Costituzione preveda per limitare ogni discrezionalità dell’autorità pubblica: la riserva assoluta di legge e la riserva di giurisdizione. Inoltre, l’ articolo 111.7 Cost. prevede che contro tutti i provvedimenti giurisdizionali che incidono sulla libertà personale sia sempre ammesso il ricordo davanti alla Corte di cassazione. L’ articolo 13.3 Cost. prevede un’eccezione, anch’essa coperta da riserva di legge, per di più rinforzata. La riserva di legge di quest’articolo opera anche per l’individuazione del tipo di restrizione cui può essere sottoposta la libertà personale. Tuttavia, sono diversi i principi costituzionali che operano a questo proposito:
La libertà di circolazione e soggiorno è molto vicina alla libertà personale: infatti, la libertà di disporre della propria persona fisica comprende anche la libertà di spostamento, di circolare, di scegliere la propria dimora. La differenza tra le due libertà sta nel carattere coercitivo e degradante della dignità umana che caratterizza le limitazioni della libertà personale e che, invece, è assente nelle limitazioni della libertà di circolazione. La libertà di circolazione, disciplinata nell’ articolo 16 Cost. , comprende sia la libertà di espatrio ( articolo 16.2 Cost. ), per la quale è previsto l’obbligo di munirsi di documenti validi (la carta d’identità elettronica od il passaporto), sia la libertà di scelta del luogo di esercizio delle proprie attività economiche, ormai potenziata ed estesa all’intero territorio dell’UE dal diritto di stabilimento. Inoltre, comprende la libertà di emigrazione, espressamente sancita dall’ articolo 35.4 Cost. Questa libertà viene garantita ai cittadini da una riserva di legge rafforzata per contenuto, ma non da una riserva di giurisdizione. Le limitazioni alla circolazione devono essere stabilite dalla legge in via generale per motivi di sanità o di sicurezza ( articolo 16.1 Cost. ). La Corte costituzionale ha sostenuto che la locuzione “in via generale” riafferma solo il principio di eguaglianza mentre la nozione di “sicurezza” sta ad indicare, in generale, l'ordinato vivere civile comprensivo della pubblica moralità. Il limite della sicurezza non può in alcun modo riguardare le scelte politiche delle persone, come viene esplicitato nell’ articolo 16.1 Cost. , e la Corte costituzionale ha esteso il divieto di limitare la libertà di circolazione per ragioni politiche anche alla libertà di espatrio. I provvedimenti tipici che rientrano nelle limitazioni alla libertà di circolazione sono i cordoni sanitari, istituiti per evitare il propagarsi di epidemie o per prevenire il contagio in zone dove si sono verificati gravi incidenti ambientali, ed anche le misure restrittive adottate in caso di retate estese ad interi blocchi di edifici.
La riunione, espressa dall’ articolo 17 Cost. , può definirsi come la compresenza volontaria di più persone nello stesso luogo. È proprio la volontà di stare insieme per uno scopo comune a distinguere la riunione da altre forme di assembramento (la coda fuori da un negozio). Invece, sono da considerarsi i cortei, che sono riunioni itineranti, le manifestazioni spontanee, cioè non organizzate, ed anche le feste da ballo, le cerimonie, le processioni religiose, le assemblee, i convegni, i comizi. La condizione che pone la Costituzione al diritto di riunione è che essa si svolga pacificamente e senza armi. L’interesse che l’ articolo 17.1 Cost. vuole tutelare è l’ordine pubblico in senso materiale, ossia la sicurezza e l’incolumità delle persone e delle cose. La riunione perde il carattere pacifico quando trascende in disordini e violenze contro persone e cose: in questo caso può essere sciolta dalla forza pubblica. Tuttavia, il fatto che qualcuno dei partecipanti sia armato non causa lo scioglimento della riunione ma semmai l’allontanamento dell’interessato. La Corte costituzionale ha anche precisato che per armi debbano essere considerate anche le cosiddette “armi improprie”, cioè quegli strumenti chiaramente utilizzabili, per le circostanze di tempo e luogo, per l’offesa alla persona. La legislazione penale dell’emergenza vieta, inoltre, l’uso di caschi protettivi e di altri mezzi che rendano difficoltoso il riconoscimento della persona. A seconda del luogo in cui si svolgono, le riunioni si distinguono in:
che sono designati a prendere la parola. Il questore può anche vietare preventivamente la riunione, come previsto dallo stesso articolo.
Per associazione si intendono quelle formazioni sociali che hanno base volontaria ed un nucleo, sia pure embrionale, di organizzazione e di tendenziale stabilità. La disciplina dell’ articolo 18 Cost. si rivolge a tutte le forme associative, quale ne sia la specifica qualificazione giuridica. Tuttavia, la stessa Costituzione detta delle norme specifiche per alcuni tipi di associazione: le associazioni a carattere religioso ( articoli 19-20 Cost. ), i sindacati ( articolo 39 Cost. ) ed i partiti politici ( articolo 49 Cost. ). L' articolo 18.1 Cost. pone tre garanzie alla libertà di associazione:
La libertà di coscienza è la libertà di coltivare profonde convinzioni interiori e di agire di conseguenza, ma ciò che interessa al diritto sono la disciplina delle manifestazioni esteriori, sociali, della coscienza, del
I diritti nella sfera economica sono quelli compresi dalla Costituzione economica, cioè dal Titolo III della Parte I della Costituzione. In esso vengono dettati i principi in materia di lavoro ( articoli 35- 36 - 37 - 38 - 46 Cost. ), di organizzazione sindacale e di sciopero ( articoli 39- 40 Cost. ) e di impresa e di proprietà ( articoli 41 - 42 - 43 - 44 Cost. ).
L’ articolo 39 Cost. non è mai stato applicato, salvo il primo comma che sancisce la libertà di organizzazione sindacale. Essendo tale organizzazione una specie del genere di quello delle associazioni, composta dai lavoratori che appartengono alla stessa categoria, sarebbe bastata la tutela generale prevista dall’ articolo 18 Cost. Il fatto è che la Costituzione prefigura un modello specifico di organizzazione sindacale: è il sindacato che, a condizione di avere un ordinamento interno di tipo democratico, viene registrato, acquista la personalità giuridica e, soprattutto, può entrare in rappresentanze unitarie che stipulano contratti collettivi di lavoro con efficacia normativa, perché vincolano tutti gli appartenenti alla categoria. Ma i sindacati hanno sempre rifiutato di attuare questa norma: per cui sono rimaste delle semplici associazioni di diritto privato ed i contratti che essi stipulano non sono fonti dell’ordinamento generale, ma hanno valore vincolante solo per i soggetti che lo hanno stipulato e per i loro iscritti. Lo sciopero è la sospensione collettiva temporanea delle prestazioni di lavoro rivolta alla tutela di un interesse dei lavoratori: è un diritto nel senso che chi sciopera non può subire conseguenze negative sul piano penale, civile o disciplinare, a parte la sospensione della retribuzione. Lo sciopero tutelato dall' articolo 40 Cost. è però solo quello che i lavoratori dipendenti attuano per interessi, anche non economici, di categoria, non anche quello politico o quello attuato dai datori di lavoro (la “serrata”) o dai liberi professionisti: tuttavia, anche queste manifestazioni sono libere e garantite dalle altre libertà (di riunione, di associazione, di espressione) riconosciute dalla Costituzione. Tale articolo rinvia alle leggi la regolazione ed i limiti del diritto di sciopero. Ma anche questa disposizione non è stata attuata, perché non si è mai approvata una disciplina generale del diritto di sciopero: esiste solo la disciplina del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali (la sanità, la giustizia, i trasporti pubblici) nei quali devono comunque essere garantite le prestazioni indispensabili.
L' articolo 41 Cost. sancisce la libertà di iniziativa economica privata ed è apparso come la chiave di svolta della Costituzione economica poiché pone un principio di bilanciamento tra l’iniziativa economica privata e l’interesse collettivo ( articolo 41.2 Cost. ). Inoltre, l' articolo 41.3 Cost. della Costituzione sembrava porre l'esigenza di equilibrare l'iniziativa economica con i principi della pianificazione pubblica
dell'economia. In sostanza, in tale articolo sembrava scorgersi l'ambiguità di un compromesso tra l'ideologia penalista e quella socialista. È stata soprattutto l’espansione dell’UE a rendere obsoleti tali temi: l’affermazione dei principi della libera circolazione dei capitali, delle merci e dei lavoratori, le regole di concorrenza che dominano il mercato, il divieto di aiuti pubblici alle imprese, hanno portato l’economia lontano dalle prospettive della pianificazione vincolante e del dirigismo pubblico dell’economica. La scelta comunitaria, invece, è quell’opposta, di una semplice regolazione del mercato per garantirvi la concorrenza ed impedire il costituirsi di posizioni dominanti che falsino la concorrenza stessa. È in questa prospettiva che si colloca anche l’istituzione dell’Autorità antitrust, quale garante, indipendente dagli organi di governo, della concorrenza e del mercato. Inoltre, l’ articolo 43 Cost. consente la “nazionalizzazione” (Enel) o, addirittura, la “collettivizzazione” di determinate imprese o categorie di imprese. Dunque, prevede una riserva di legge rinforzata per contenuto. La tendenza, su sollecitazione dell’UE, è verso la privatizzazione delle imprese pubbliche e, soprattutto, verso il superamento dei monopoli pubblici: per cui tale articolo è destinato ad avere un’applicazione marginale.
L’ articolo 42 Cost. è il frutto di un compromesso tra l’ideologia capitalista e quella socialista: esso, infatti, ammette la proprietà privata solo se e in quanto compatibile con la “funzione sociale”. La proprietà privata è un diritto reale che ha per contenuto la facoltà di godere e di disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo: indica quindi l'appartenenza di un bene a un soggetto. Per quanto riguarda i limiti, la riserva di legge rinvia al legislatore di trovare i punti di equilibrio tra la proprietà privata e gli interessi generali. L’ articolo 42.3 Cost. prevede la possibilità di espropriazione della proprietà privata. Essa consiste nella manifestazione della prevalenza dell’interesse pubblico su quello privato: il diritto soggettivo di proprietà degrada in puro interesse legittimo e al proprietario rimane solo il diritto a un’indennità per il bene espropriato che non lo risarcisce se non in parte della perdita economica subita.
La proprietà, avente ad oggetto beni mobili od immobili, può avere natura pubblica o privata, così come disciplinato dall’ articolo 42 Cost. I beni appartenenti al patrimonio dello Stato si distinguono in demanio pubblico e beni patrimoniali. Il demanio pubblico (il lido del mare, la spiaggia, i porti, i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia) riguarda quei beni inalienabili che non possono formare oggetto di diritto a favore di terzi, se non nei casi espressamente previsti dalla legge. Nell’ipotesi in cui tali beni cessino la loro destinazione ad uso pubblico, passano direttamente nel patrimonio dello Stato. L’inizio e la cessazione della demanialità muta a seconda che si faccia riferimento a beni naturali o beni pubblici artificiali:
L’ articolo 48 Cost. disciplina l’elettorato attivo, cioè la capacità di votare. Il voto è un diritto in quanto contiene la nostra pretesa all'esercizio della sovranità popolare. Esso è subordinato al possesso di due requisiti positivi:
I partiti politici, disciplinati dall’ articolo 49 Cost. , sono organizzazioni private e volontarie, in quanto chiunque può iscriversi e dimettersi, che hanno come fine la conquista e la gestione del potere politico dello Stato e degli enti politici substatali, a seguito di libere elezioni, al fine di imprimere agli stessi un determinato indirizzo politico riguardante l’intera società. Costituiscono il principale canale di collegamento tra la società civile e le situazioni statali. Esprimono le idee e gli interessi di una parte della popolazione, ne raccolgono le domande politiche e su questa base formulano i loro programmi che cercano di far prevalere all'interno dell'istituzioni pubbliche. Da una parte agiscono come rappresentanti dei settori della società civile, dall'altra determinano l'orientamento politico dello Stato. In Italia i partiti politici sono di destra e di sinistra. A partire dagli interessi che ciascun partito cerca di esprimere dalle ideologie di cui è portatore, ogni partito formula il proprio programma politico cioè quella serie di provvedimenti che intende sostenere all’interno degli organi dello Stato. I partiti sono l'asse portante dello Stato in quanto forniscono al Parlamento e al Governo gli uomini e i programmi. Essi costituiscono il principale canale di selezione dei dirigenti della politica in quanto è molto difficile diventare membri di un'assemblea elettiva senza l'appoggio di un partito.
I partiti che ottengono la maggioranza alle elezioni formano il Governo e ne designano i ministri: inoltre, hanno la possibilità di nominare uomini di loro fiducia in incarichi pubblici di varie nature. L'indirizzo politico dello Stato viene formulato dai partiti di maggioranza, attraverso un confronto con i partiti di opposizione delle assemblee elettive. Nella storia europea i partiti nacquero con il primo Stato rappresentativo formatosi in Inghilterra intorno al
La Costituzione contiene vari riferimenti ai doveri dei cittadini, ma perlopiù si tratta di principi non facilmente traducibili in regole di comportamento. Difatti, i doveri posti dagli articoli 2-4.2 Cost. non impediscono di certo a nessuno di vivere di rendita sperperando le proprie ricchezze in egoistiche dissolutezze. Inoltre, difficile è l’interpretazione del “dovere di fedeltà alla Repubblica” previsto dall’ articolo 54.1 Cost. Tale dovere esprime il suo significato normativo espressamente nei confronti di chi assume cariche pubbliche, mentre per la generalità dei cittadini si risolve nell’obbligo di rispettare la Costituzione e le leggi. Per questo, i doveri costituzionali si riducono principalmente a due:
Con l’espressione forma di Stato si intende il rapporto che corre tra le autorità di potestà d’imperio e la società civile, nonché l’insieme dei principi e dei valori a cui lo Stato ispira la sua azione. La nozione di “forma di Stato” si riferisce, dunque, al modo in cui si strutturano i rapporti tra lo Stato e la società, tra i governanti ed i governati: al variare di tali rapporti corrispondono finalità diverse perseguite dallo Stato nell’esercizio delle sue funzioni. Lo Stato assoluto è la prima forma dello Stato moderno: nacque in Europa tra il 400 ed il 500 e si è affermato nei due secoli successivi. Nello Stato assoluto il potere sovrano era concentrato nelle mani della Corona, titolare della funzione legislativa ed esecutiva, mentre il potere giudiziario era esercitato da Corti e Tribunali formati da giudici nominati dal Re. La volontà del Re era considerata la fonte primaria del diritto: ciò che egli voleva aveva efficacia di legge. Il suo potere non incontrava limiti legali né poteva essere condizionato dai desideri dei sudditi. Lo Stato liberale è una forma di Stato che nasce tra la fine del 700 e la prima metà dell’800, a seguito della crisi dello Stato assoluto, dello sviluppo del modo di produzione capitalistico e dell’affermazione della borghesia. Il modello dello Stato liberale è caratterizzato da una finalità politico costituzionale garantistica, dalla concezione dello Stato minimo, dal principio di libertà individuale, dalla separazione dei poteri, dal principio di legalità e dal principio rappresentativo. Lo Stato di democrazia pluralista si afferma a seguito di un lungo processo di trasformazione dello Stato liberale che porta all’allargamento della sua base sociale. Per cui lo Stato monoclasse si trasforma in uno