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Sulla distinzione tra giusnaturalismo e positivismo giuridico, e le diverse forme che quest'ultimo ha assunto secondo bobbio. Il giusnaturalismo di hobbes e il positivismo ideologico, generale del diritto e dello studio scientifico del diritto vengono esaminati. Il testo mette in evidenza come i postulati etici del positivismo giuridico, come la legalità, l'ordine come fine principale dello stato e la certezza come valore del diritto, siano stati elaborati nella dottrina liberale per limitare il potere del principe e proteggere la libertà individuale. Il testo conclude notando che sia la morale del positivismo che del giusnaturalismo hanno portato a scelte e concezioni non sempre uguali a sé stesse.
Typology: Study notes
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In ogni ricerca storica bisogna definire l’ OGGETTO della ricerca e collocarlo nel TEMPO e nello SPAZIO. Per quanto riguarda l’ OGGETTO , anzitutto bisogna distinguere tra CODIFICAZIONE, che è una parola indicante un’ AZIONE (nomina actionis), e CODICE che invece indica il RISULTATO DI UN’AZIONE (nomina rei actae).
Al riguardo bisogna aggiungere che oggi si tende a distinguere tra STORIA DELLA CODIFICAZIONE (con cui ci si riferisce alla fase di formazione dei codici) e STORIA DEI CODICI (con cui ci si riferisce al complesso delle vicende, problemi e soluzioni, che si sono posti all’attenzione di legislatori e giuristi dopo la redazione dei codici). Da questa distinzione si giunge ad osservare come il codice rappresenta da una parte il punto finale del processo di codificazione, ma anche il punto di partenza per i problemi di interpretazione, applicazione e trasformazione delle norme in esso contenute in considerazione del fatto che la realtà del diritto è un processo in continua evoluzione che trasforma ogni punto di arrivo in un nuovo punto di partenza [ ad es: quando si è raggiunto un determinato assetto giuridico, come una determinata disciplina dei rapporti familiari, il mondo del diritto continua a mutare e si creano situazioni e problemi che un tempo non esistevano, come l’esistenza di famiglie di fatto fondate sulla convivenza in assenza del matrimonio, che richiedono un’ulteriore intervento giuridico che stabilisca regole valide anche in quella fattispecie. ]. Ma anche questa conclusione va considerata in virtù del tempo e dello spazio in cui è stata osservata: infatti rappresenta la conclusione a cui si è arrivati oggi, dopo che, a partire dalla cultura del romanticismo e dall’affermarsi dello storicismo, ci si è convinti che tutto scorre (Eraclito), e quindi anche il mondo del diritto. Ma in epoche passate, come nel ‘700 con l’Illuminismo e nell’800 e nel primo ‘900, si era convinti che per ogni problema si potessero individuare soluzioni definitive e valide una volta per tutte.
§ IL PROBLEMA DELLA PERIODIZZAZIONE.
Per quanto riguarda la COLLOCAZIONE NEL TEMPO , si tratta di stabilire il punto di partenza e di arrivo della formazione dei codici. Se prendiamo come punto di riferimento lo storicismo (corrente di pensiero che si è affermata prima in Germania e poi in tutta Europa nell’ottocento), dobbiamo pensare che ogni evento attuale sia strettamente collegato ad un evento passato e che quest’ultimo sia a sua volta collegato ad un evento precedente e così via. Ma seguendo questo parametro se da una parte si può agevolmente indicare quando è accaduto un singolo fatto [la scoperta dell’America], dall’altra risulta difficile stabilire quando è cominciato un processo legato ad una molteplicità di elementi politici, economici, religiosi, culturali [formazione dei codici]. Inoltre una certa vicenda oltre che nel tempo è anche calata nello spazio , con la conseguenza che il punto di partenza e di arrivo di un evento può variare a seconda dell’ambito geografico che si prende in esame. Tuttavia, in ogni evento è possibile individuare una tendenza forte di fondo che rende omogenea un’epoca, diventando la vicenda centrale e significativa di quel periodo e di quell’ambito geografico.
A queste considerazioni sullo studio dei fatti, bisogna però aggiungere un ulteriore elemento in grado di rendere relative le conclusioni cui si perviene riguardo agli eventi: è necessario infatti tener presente che la storia è fatta di eventi che sono opera degli uomini e che poi vengono collegati dagli studiosi di storia che creano un concetto di cui si servono per catalogare a loro modo la realtà , e quindi renderla comprensibile a sé e agli altri. Ma una stessa realtà, potrà essere catalogata in modo diverso da ogni studioso a seconda dell’ambito che attira l’attenzione privilegiata dello studioso: quindi, ad es, mentre per lo storico del diritto una det.ta epoca costituisce l’età delle codificazioni (xkè quello ke attira l’attenzione dello studioso è il concetto di codice), per lo studioso di un’altra disciplina quella stessa età sarà invece dell’illuminismo, del romanticismo, etc, a seconda del concetto che attira la sua attenzione [letteratura, romanzo storico]. Dunque, l’età delle codificazioni è una creazione degli storici del diritto che prendendo come riferimento il concetto di codice, definiscono tale una det.ta epoca storica, ordinando fatti e collegando eventi, per dare una spiegazione di questa fetta di realtà a sé e agli altri.
§ L’ETA’ DELL’ILLUMINISMO. Quindi occorre sempre tenere presente che i concetti storici hanno un valore relativo , e mutano continuamente nel tempo e nello spazio al fine di non dare un valore assoluto a quello che invece è mutevole e relativo. Una vicenda storica molto importante x capire la storia delle codificazioni è il movimento culturale e politico del ‘700 chiamato illuminismo , che gli uomini hanno creduto si caratterizzasse xkè la luce della ragione si diffondeva a diradare le tenebre del pregiudizio e della tradizione. Dell’ Illuminismo Emanuel Kant ha dato, ad es, una definizione che ha contribuito a formare il concetto di illuminismo ma che rappresentava la sua risposta personale a quel movimento culturale, risposta diversa da quelle date
filosofie del novecento; la sociologia; la psicoanalisi; lo stesso diritto, ridotto da Croce a fatto economico].
Nel suo libro, Hazard ha tracciato le linee essenziali delle vicende che in Europa hanno portato dalla stabilità al movimento aprendo le menti a curiosità nuove e impensabili; ed ha tracciato anche la storia delle vicende che hanno portato al declino di alcune grandi potenze [Spagna] e all’affermazione di altre potenze che hanno segnato i secoli successivi (XVII e XVIII). Riconducendo il tutto ad un’unica parola – crisi – per indicare che in momenti di crisi le vicende umane subiscono come un’accelerazione improvvisa e tutto cambia in tempi brevi.
§ QUADRO SINTETICO DELLA STORIA DELL’EUROPA MODERNA.
L’Europa è uscita tra fine ‘600 e inizio ‘700 da una situazione politica e culturale nella quale i giochi sembravano fatti.
Nel secolo XVI, alcune grandi potenze (Spagna e Francia soprattutto) si erano contese l’egemonia sul continente e la SPAGNA era riuscita vincitrice, anche se, alcune potenze minori, come l’Italia, conservavano ancora qualcosa del grande prestigio del passato, cosicché, secondo Hazard, anche se il baricentro d’Europa si era spostato più a nord e la stessa Italia non era più il centro culturale d’Europa, la stessa restava la mèta prediletta di quei giovani che intraprendevano viaggi per fare esperienza di uomini, di arti, di tradizioni, di culture.
§ LA CRISI DELLA SPAGNA.
E’ così seguito il c.d. secolo d’oro per la Spagna, che grazie alla sua flotta era diventata la principale potenza navale dopo che la navigazione, dal chiuso mediterraneo, si era aperta sugli oceani.
Ma questo periodo finì a causa di sopravvenuti fatti politici ed economici, nonché culturali.
Anzitutto, la sua flotta non si riprese più dopo la sconfitta inflitta dall’Inghilterra (1588) a quella che era stata definita l’invincibile armata.
I grandi tesori [oro e argento] che, agli inizi della colonizzazione americana, arrivavano regolarmente dalle colonie dell’America meridionale, più tardi arrivavano in modo sporadico, essendo esposti alle insidie del mare e all’aggressione dei corsari che erano sollecitati a predare i galeoni spagnoli dalle potenze navali rivali della Spagna [Inghilterra e Olanda].
In ogni caso, i tesori che arrivavano erano ingoiati dalle enormi spese militari che doveva affrontare una potenza con ambizioni mondiali o anche dall’eccesso di spese di corte.
Inoltre la Spagna non aveva mai avuto un efficiente sistema bancario in grado di conservare le ricchezze quando ce ne erano in abbondanza e rilasciarle quando scarseggiavano.
Per questo la Spagna soffocava nei debiti (il re Filippo IV ha dichiarato per tre volte bancarotta (1652), cioè che i debiti non sarebbero stati pagati). Nel frattempo emergevano, invece, quelle potenze che [Inghilterra e Olanda] sapevano gestire le proprie entrate.
Infine una burocrazia sempre più farraginosa (alimentata da Filippo II, soprannominato il re burocrate per la sua dedizione al lavoro amministrativo,
che si rinchiuse nella contraddizione di coltivare pretese universalistiche da una parte ma asservite a una rigida convenienza nazionale dall’altra), il passaggio da una classe dirigente che, all’epoca di Carlo V, era di estrazione sopranazionale, a una classe dirigente formata soprattutto da grandi latifondisti, e in ultimo, una forte tendenza della cultura spagnola ad estraniarsi dal mondo reale per rinchiudersi in sogni impossibili, in aggiunta alla guerra di successione al trono spagnolo (1700-1714), hanno determinato la fine dell’egemonia politica della Spagna sull’Europa a vantaggio dell’Austria.
§ L’EGEMONIA CULTURALE DELLA FRANCIA. Così mentre in Spagna finiva il secolo d’oro, la FRANCIA diventava il nuovo centro culturale e politico d’Europa. La lingua francese s’imponeva anche al di fuori dei confini del paese e questo contribuiva a far sì che l’Europa del ‘700 fosse "francese da Gibilterra a Mosca". Ma l’egemonia francese, ai tempi di Luigi XIV (1638-1715) non è stata esclusivamente culturale, ma anche politica. La monarchia francese si è mossa precocemente sulla strada dell’ assolutismo , ossia di un modello di stato che ha posto al centro della sua configurazione la sovranità dello stato incarnata da un principe assoluto che pur libero da controlli esterni, trovava altrove i limiti al proprio potere: primo fra tutti la sottomissione e la corrispondenza del suo agire alle leggi di Dio ; alle regole di giustizia naturale che impongono al sovrano di esercitare il proprio potere secondo giustizia e non a discrezione; alle leggi fondamentali dello stato, poiché il principe assoluto deve governare secondo la natura e le condizioni che la propria sovranità impone. Le teorie dello stato e dei poteri del principe erano inoltre legate alla cultura cristiana (già Giustiniano aveva affermato che era giusto che il principe si sottoponesse alla legge) e al pensiero del filosofo greco Aristotele , e questo connubio tra cristianesimo e aristotelismo ha dato vita, dal ‘500 in poi, alla dottrina del principe cristiano , che descriveva in forma precettiva le virtù che dovevano essere proprie di tale figura. Strumento di questo assolutismo è stata l’amministrazione (cioè l’insieme degli apparati che servivano a gestire lo stato in tutte le sue articolazioni: finanza, giustizia, difesa, etc.) che ha contribuito alla formazione di alcuni grandi corpi intermedi (detti così perché erano posti tra sudditi e sovrano) che erano dotati di grandi poteri, spesso esercitati in modo arbitrario. Questi corpi erano coesi al loro interno, tanto da costituire una èlite fornita di grandi privilegi e da dare vita ad un particolare tipo di nobiltà detta di toga per il fatto di fondare il proprio potere sull’esercizio di cariche pubbliche le quali, di regola, erano venali (cioè vendute così come si vendevano le rendite dello stato). Alcuni grandi sovrani e ministri hanno poi cercato di razionalizzare nel modo migliore le istituzioni pubbliche della Francia. Tra questi si sono distinti il re Luigi XIV e il re sole per lo splendore della sua corte, che ha cercato di avviare la Francia verso un diritto uniforme per tutto il paese. Tuttavia, revocando nel 1685 l’editto di Nantes che per tutto il ‘600 aveva assicurato alla Francia una tolleranza religiosa nei confronti dei protestanti, il re ha rafforzato il modello della sovranità xkè il suo paese non avrebbe avuto altra fede religiosa che la sua, ma ha rotto la pace religiosa e ha costretto ad emigrare in Olanda, in
gruppo di uomini (la maggioranza) abbia diritto di decidere per il resto così obbligandosi a sottomettersi a tali decisioni. Questa concezione politico-filosofica di Locke , fondata sulla legge di natura e su un patto sociale tra gli uomini, costituiva la salvaguardia dei diritti naturali di tutti, anche nei confronti del sovrano, e minava le radici dell’assolutismo. Accanto a Locke, a fare degli inglesi un popolo di pensatori, ci sono stati anche BERKELEY (1685-1753) e HUME (1711-1776) che hanno entrambi esteso il campo delle proprie indagini al di là della filosofia, fino ad affrontare, come Locke, problemi di carattere politico-economico che acquistavano anche rilievo pratico con implicazioni anche di carattere etico-religioso [come quello della capacità del denaro di produrre interessi, nonostante il divieto che si leggeva nei testi biblici]. C’è poi stato Isaac NEWTON (1642-1727), il padre della scienza sperimentale, il cui pensiero ha pervaso tutta la cultura europea. Ma neanche lui è stato uno scienziato puro, perché si è occupato anche di economia ricoprendo la carica di maestro della moneta scrivendo un saggio sul problema dell’oro e dell’argento e del tasso di cambio rispetto alla moneta. La cultura inglese è dunque stata soprattutto una cultura che ha affrontato con concretezza i problemi dell’umanità e ha privilegiato soluzioni alle quali si pervenisse attraverso gli esperimenti e l’esplorazione effettiva della realtà. E questo atteggiamento ha così caratterizzato anche la politica inglese e la sua organizzazione sociale: mentre in Francia, come altrove in Europa, la nobiltà non poteva esercitare il commercio e svolgere professioni vili (così ai nobili restavano la vita di corte, le cariche pubbliche, la diplomazia e le armi), in Inghilterra, invece, la nobiltà s’impegnava nell’agricoltura e nel commercio, costruendo immense fortune per sé e per il proprio stato. In questo modo si è formata una mentalità tutta particolare che ha influenzato di sé la cultura europea, quando l’Inghilterra, che ancora non poteva vantare monumenti illustri da visitare, ha cominciato a d iventare anch’essa mèta di pellegrinaggio culturale per la particolarità del proprio modo di vivere e di pensare.
Accanto all’Inghilterra, c’era poi L’ OLANDA (il popolo delle Province unite) che si è inserita nel gioco delle potenze europee, seguendo un percorso simile a quello dell’Inghilterra con la quale ha dovuto fare i conti per l’egemonia commerciale sul mare, uscendone sconfitta in una battaglia navale (1654). Pur con questi precedenti non felici, l’Olanda ha stretto con l’Inghilterra un rapporto dinastico quando Guglielmo d’Orange , il suo principe-delegato, è stato chiamato a regnare sull’isola. Era un popolo di pescatori e di navigatori che aveva fondato tutte le proprie ambizioni nel commercio e nei traffici e così era diventato prospero e potente.
Ma era anche il prototipo dello stato tollerante visto che, ad es., quello che non si poteva stampare altrove, si stampava in Olanda; quello che non si poteva insegnare o ascoltare altrove, lo si faceva in Olanda; lì vi trovarono rifugio molti perseguitati scacciati da quella o da questa città (come i protestanti francesi dopo la revoca dell’editto di Nantes) che arricchirono l’Olanda con la propria abilità e conoscenze.
§ L’ASCESA DELL’AUSTRIA.
L’ AUSTRIA era caduta in una grande crisi quando nel 1683 aveva subito l’assedio turco alla propria capitale. Anche se, in realtà, la crisi dell’Austria come stato territoriale era tutt’uno con la crisi del sacro romano impero , dato che dopo la morte (1558) di Carlo V, la linea austriaca degli Asburgo aveva conservato il titolo imperiale. L’impero romano era ormai privo di una solida base territoriale e quindi di forze umane e di mezzi economici propri che gli consentissero di tenere testa agli altri stati nazionali, e dipendeva strettamente dallo stato al quale si legava dal punto di vista dinastico. Ma mentre l’impero romano declinava, l’Austria, tra il ‘600 e il ‘700, è riuscita a riprendersi. In quell’epoca l’Austria si articolava in diversi stati (l’Austria vera e propria, cioè il cuore della monarchia, gli stati ereditari tedeschi, gli stati dell’Europa centrale aggregati alla monarchia). Al centro di tutto c’era la corte degli Asburgo , che costituiva il vero elemento di unificazione, visto che mancava ancora un’amministrazione centrale che desse unità al paese. Si trattava di una corte, che pur se sensibile alle esigenze della contro-riforma (tanto da farsi propulsore dell’unificazione religiosa dei diversi paesi che le erano sottoposti attraverso una battaglia contro il protestantesimo), non si era appiattita sulle stesse e anzi lasciò spazio ad una èlite che rappresentava tradizioni diverse anche all’interno del pensiero religioso [gesuiti, agostiniani].
Gli agostiniani erano un ordine religioso formato su una cultura diversa da quella tradizionale fondata su Aristotele ad opera di studiosi cattolici spagnoli. L’agostinismo si rifaceva alle origini del cristianesimo , ad un pensiero portato all’approfondimento dell’interiorità caratterizzato da un forte scetticismo per le opere dell’uomo e da una fiducia assoluta nelle opere di Dio.
Per questo l’Austria si è caratterizzata, anche dal punto di vista religioso, per il fatto di essere aperta a influenze e tradizioni diverse , anche perché il governo di Vienna non è riuscito ad avere il pieno controllo dei sentimenti politici e religiosi del suo popolo, che ha sempre conservato una mentalità soprannazionale. Comunque, tornando alle vicende politiche , chiusi i conti con l’impero turco, ricacciato verso oriente, la dinastia degli Asburgo si è trovata al centro della politica europea, uscendo vincitrice dalla guerra di successione spagnola, che si è conclusa con i trattati di Utrecht, di Rastatt e di Baden (1714) e riuscendo a imporre verso occidente la propria egemonia in Italia, dove ha conquistato il controllo del ducato di Milano, Toscana e del regno di Napoli. All’accresciuto potere territoriale si è poi accompagnata una adeguata potenza politica ed economica, e una forte attività culturale: infatti Vienna, anche per gli stretti legami con l’Italia, era diventata una capitale non solo politica, ma anche culturale, riempiendosi di intellettuali che facevano da richiamo ad altri studiosi.
§ I PAESI DI LINGUA TEDESCA E LA RUSSIA. Le vicende della PRUSSIA sono simili a quelle dell’Austria. A metà ‘600 non era che una miriade di staterelli tedeschi che si diversificavano tra di loro per estensione, ricchezza, forza militare e organizzazione politica; e tuttavia è riuscita ad emergere grazie alle guerre [prima quella di successione spagnola,
latifondo e molti territori erano incolti].Altri stati, come Venezia, erano invece connotati da una forte decadenza politica ed economica, anche se non culturale. Per quanto riguarda lo stato della CHIESA , infine, questo era chiuso nella tradizione religiosa e legato a uno sviluppo economico ancora più arretrato e tradizionale di quello napoletano, con enormi tenute agrarie nelle mani di pochi nobili, godute prevalentemente in natura, tanto che di rifiorimento dell’agricoltura si parlò solo nei primi dell’800.
Il dibattito sulla codificazione è naturalmente collegato anche al problema della natura del diritto sul quale si sono distinte diverse correnti di pensiero che si contendono ancora oggi il campo: giusnaturalismo, positivismo giuridico, pandettistica e assolutismo giuridico.
§ IL GIUSNATURALISMO E IL POSITIVISMO GIURIDICO. Per dare un esempio di quello che sono il giusnaturalismo e il positivismo giuridico, potremmo partire da un dialogo famoso di Socrate ( L’Eutifrone ) in cui lo stesso ha posto un dilemma ad un giovane (Eutifrone) che non ha saputo risolvere: se fosse vero che "il santo sia amato dagli dei perché santo" (e in questa ipotesi rileva il giusnaturalismo : in quanto la santità è indipendente dalla volontà degli dei) oppure che il santo "sia santo perché amato dagli dei" (e in questa ipotesi rileva il positivismo giuridico , perché il criterio di giustizia, e in questo caso della santità, è la volontà degli dei). Questo problema si è proposto mille volte nella storia dell’umanità, ed anche in tempi non lontani da noi, quando le grandi potenze che hanno vinto la seconda guerra mondiale contro la Germania fascista hanno deciso di processare , a Norimberga, i principali esponenti del regime nazista. Fare quel processo poneva grandi problemi dal punto di vista giuridico, perché il processo è un percorso giuridico che si svolge attraverso una serie di passaggi che obbediscono all’esigenza di legalità (cioè di conformità al diritto). Il problema principale era che i crimini [ad es., gli eccidi di massa nei campi di sterminio] erano stati commessi in uno stato che non li considerava crimini, ma anzi li aveva voluti e promossi, e un principio fondamentale di civiltà giuridica vuole che nessuno possa essere processato e punito per un fatto che non sia considerato reato dalla legge nel momento in cui il fatto è commesso ( nullum crimen sine lege ). La soluzione è stata trovata nel concetto di crimini contro l’umanità , quindi nel diritto naturale, cioè in un diritto che esiste nec essariamente e che è indipendente dalle leggi di ciascuno stato, perché è comune a tutta l’umanità, è propria della natura umana.
Noberto BOBBIO in un suo libro (anni ’60) ha cercato di esporre sia cosa si intenda con giusnaturalismo e positivismo giuridico sia lo stato della polemica tra le due scuole di pensiero.
Per giusnaturalismo , si intende quella corrente che ammette la distinzione tra diritto naturale e diritto positivo e sostiene la supremazia del primo sul
secondo in quanto il diritto esiste per il potere della sua giustizia intrinseca ( imperio rationis ); per positivismo giuridico , invece, s’intende quella corrente che non ammette la distinzione tra diritto naturale e diritto positivo e afferma che non esiste altro diritto se non quello positivo, in quanto il diritto esiste per il potere del legislatore ( ratione imperii : in ragione del potere). Nessuno dei due concetti è stato storicamente sempre uguale a se stesso. Per quanto riguarda il GIUSNATURALISMO bisogna infatti distinguere tra un giusnaturalismo ANTICO , fondato soprattutto sul pensiero del filosofo greco Aristotele (384-322 a.C.) (e sulla scuola stoica che è nata da lui e che ha trovato a Roma uno dei propri esponenti principali in Marco Tullio Cicerone ) che nelle sue opere [ l’Etica nicomachea , cioè un trattato di etica indirizzato a Nicomaco] ha sostenuto che del giusto civile una parte è di origine naturale, un’altra si fonda sulla legge. Naturale è quel "giusto" che mantiene ovunque lo stesso effetto e non dipende dal fatto che a uno sembra buono oppure no; fondato sulla legge è quello di cui, invece, non importa nulla di quale siano le sue origini, bensì importa di come esso sia una volta sancito. L’ esempio di Aristotele per spiegare tale concetto è sulla regola che prescrive di sacrificare una o due pecore : in questo caso, la giustezza o meno del sacrificio sarà da ricercarsi nel diritto naturale, mentre il numero di pecore da sacrificare sarà stabilito arbitrariamente dalla legge (oggi potremmo paragonare a questo esempio la prescrizione : sicchè si potrebbe dire che è giusto secondo natura che esista la prescrizione come istituto che fa estinguere i diritti per mancato esercizio, ma che è arbitrario che il termine di prescrizione sia più o meno lungo perché questo è frutto di una scelta umana).
Dal giusnaturalismo antico è poi derivato un giusnaturalismo SCOLASTICO nel quale il diritto naturale è un insieme di principi etici generali che ispirano il legislatore nella formulazione delle regole del diritto positivo.
Vi è poi stato il giusnaturalismo RAZIONALISTICO che afferma, invece, che il diritto naturale è l’insieme dei dictamina recate rationis (dei precetti della giusta ragione) che forniscono la materia della regolamentazione, mentre il diritto positivo è l’insieme degli espedienti pratico-politici che ne determina la forma (ossia: il primo è la parte precettiva della regola; il secondo rende efficace la regola attraverso la previsione di sanzioni). Il giusnaturalismo di HOBBES ritiene, infine, che nello stato di natura non esista altra regola che l’esigenza di sopravvivenza e quella di osservare i patti o di obbedire al sovrano, sicchè il legislatore è pienamente libero di formulare le leggi come crede. Per quanto riguarda il POSITIVISMO GIURIDICO lo stesso ha assunto, secondo Bobbio, tre diverse forme: quella IDEOLOGICA , che afferma che le leggi debbono essere obbedite incondizionatamente in quanto leggi; quella di TEORIA GENERALE DEL DIRITTO che fa del diritto un prodotto del solo legislatore; quella che riguarda lo STUDIO SCIENTIFICO del diritto e il compito del giurista, che ha lo scopo di considerare il diritto quale è e non quale dovrebbe essere. Poste queste premesse, nel metterle in relazione, Bobbio ha sostenuto che la concezione positivistica del diritto, in termini di teoria generale, si limita a costruire scientificamente il diritto partendo dalla convinzione che esso nasca
contenuti democratici adeguati e fondi la convivenza civile su valori accettabili per tutti.
§ L’ASSOLUTISMO GIURIDICO. Quando si parla di assolutismo, lo si potrebbe fare in modi diversi : o con un valore di semplice scansione temporale (l’età dell’assolutismo: i secoli XVII e XVIII); o a scandire epoche e concetti diversi ( età della dittatura, assolutismo, totalitarismo); o accompagnandolo ad un sostantivo per relativizzare un concetto (assolutismo illuminato); o per dargli una precisa collocazione (assolutismo regio in questo o quello stato). In ogni caso, dal XIX secolo in poi (1804-1942 periodo di codificazioni) l’assolutismo ha assunto una connotazione negativa che non aveva originariamente, dato che era pacifico che assolutismo e dispotismo erano e sono due concetti diversi. Ma l’uso corrente di ASSOLUTISMO è quello che lo vede strettamente collegato alla pan- legificazione , cioè alla concentrazione nella legge di tutte le fonti di produzione del diritto. Per capire L’assolutismo bisogna partire da un’indagine storica delle diverse convinzioni giuridiche. Nel mondo giuridico medievale era consolidato il principio che nelle cose terrene il sovrano operasse sempre come avrebbe operato Dio ( tamquam Deus ); da ciò derivavano tre conseguenze:
che l’operato del principe fosse sempre conforme a giustizia; che coloro che, scelti dal principe, operavano al suo posto, avessero i medesimi poteri del principe; che anche i giudici loco principi sostituti (nominati in sostituzione del principe) operassero sempre in modo conforme a giustizia.
Senonchè, secoli più tardi questa concezione ha assunto un significato inverso a quello originario ora descritto. Questo perché l’Europa ha attraversato quella crisi, nel senso di profonda rottura col passato, di cui ha scritto Hazard, che prende le mosse dall’ umanesimo , quando si è cominciato a relativizzare, storicizzandoli, parole, espressioni, concetti e modi di pensare, anche attraverso le scienze sperimentali del ‘600 e del ’700 [Galilei, Newton, etc], e che procede attraverso il dubbio metodico di Cartesio, il pensiero scettico di Bayle, e altri che non si riconoscono più nel pensiero di Aristotele e S. Tommaso che avevano sostenuto che "era preferibile che regnasse la legge anziché uno qualsiasi dei cittadini, in quanto la legge era la ragione liberata dal desiderio " e che quindi hanno bisogno di cercare altrove queste certezze. Per questo, l’et_ e0 che nasce dall’umanesimo e procede fino a sfociare nell’illuminismo, può essere considerata l’età del dubbio , perché è un’età che non si ritrova nella sicurezza di conoscere una verità già posta da dio nelle cose, ma è una verità che va cercata ( tra i tanti lo ha scritto il poeta tedesco Lessing, 1759, che disse: "se Dio tenesse chiusa nella sua destra tutta la verità e nella sua sinistra la ricerca della verità e mi dicesse di scegliere io mi chinerei con umiltà davanti la sua sinistra e gli direi: la pura verità è per te solo" ) , sicché l’ancoraggio che allora è sembrato più sicuro, non è stato più Dio o l’ordine impresso da lui nelle cose che i giuristi potevano leggere, ma la ragionevolezza naturale di certe soluzioni che erano conseguenti al modo di essere della mente umana. La natura si muoveva secondo leggi fisiche sue proprie che contenevano in sé
anche le leggi in campo giuridico; leggi che venivano cercate da prìncipi e giuristi che le fissavano in tavole elementari perché non restassero esposte all’arbitrio delle seduzioni umane. In questo modo il principe e il legislatore diventavano i garanti di queste leggi uguali per tutti. Così si ebbe quindi un passaggio da Dio alla natura e alla ragione escludendo sempre più la divinità dalla filosofia e dalla scienza.
§ LA SCUOLA STORICA DEL DIRITTO.
Agli inizi dell’800 c’è stata, soprattutto in Germania, una forte reazione al giusnaturalismo razionalistico che era stato dominante fino ad allora. Sappiamo che tra le conseguenze del giusnaturalismo c’era la convinzione che il diritto non fosse un fatto nazionale di ciascun popolo , ma dovesse valere comunque e dovunque, proprio xkè si fondava sulla natura umana, sostanzialmente sempre uguale a se stessa [Aristotele diceva che il fuoco brucia dovunque al medesimo modo]. Ma questa convinzione era spesso attenuata dal fatto che gli stessi illuministi erano convinti che sul diritto, così come sulla natura umana, influissero tutta una serie di circostanze variabili [clima, ambiente, vicende] tale che si tendeva a riagganciare il diritto naturale alla storia. Il romanticismo ha poi smantellato queste convinzioni e ha contrapposto all’universalità e all’immutabilità delle regole voluta dal giusnaturalismo, la loro mutevolezza e quindi la loro relatività nel tempo facendone un prodotto della storia nazionale di ciascun popolo. Anche in questo caso, bisogna cmq osservare come ci si trovi in presenza di un processo storico scandito da una serie di fatti politici, culturali e giuridici, che hanno innescato la tendenza a riscoprire i valori del passato e della tradizione: questo è avvenuto soprattuto in Germania , dove è stata contrapposta l’immaginazione alla ragione e si è creata una frattura tra la cultura razionalista dell’illuminismo e quella immaginifica del romanticismo. Ad esempio di queste due contrastanti sentenze, possono essere citati Kant (1724-1804; tra i maggiori esponenti dell’illuminismo tedesco) e Herder (1744-1804; tra i principali fondatori del nuovo storicismo). HERDER è stato attratto da tutto quello che era irrazionale , che era mitico, scoprendo che la lingua di ciascun popolo era strettamente collegata ai suoi moti dell’animo; ha studiato il modo in cui il genio (cioè il modo di essere) di ciascun popolo si esprimeva nella sua organizzazione politica; ha contribuito a fondare l’idea di nazione, che esprimeva la natura e l’identità profonda di ciascun popolo come frutto della sua propria storia; ha fermato la sua attenzione sul mondo delle origini, sul primitivo, che era capace di esprimere, meglio di altre epoche, lo stato originale , e quindi senza contaminazioni, di un popolo. KANT a esprimere il suo disappunto sull’irrazionalismo, quando è apparso uno scritto di Herder sulla storia delle origini, lo ha letto e ha confessato di non averci capito nulla e ha chiesto che qualcuno glielo spiegasse, "perché quello che poteva ancora affer rare erano comuni concetti esposti secondo regola logica".
Cmq in campo giuridico, questo movimento diretto al recupero della storia e dell’identità nazionale , si espresso in una scuola che ha avuto in SAVIGNY (1779-1861) tra i suoi esponenti principali, e che ha preso il nome di scuola storica proprio xkè ha rivendicato la storicità del diritto. In una sua famosa
Abbiamo appena visto come Savigny ha insistito sulla necessità di uno studio sistematico del diritto che illustrasse le affinità x cui singoli concetti giuridici e regole sono connessi in una grande unità. Così facendo egli ha posto le premesse x uno studio tutto diverso da quello storico che è stato sviluppato da un’altra scuola giuridica che è nata in Germania e si è diffusa, nell’800, in tutta Europa. L’anello di congiunzione tra la scuola storica e quella PANDETTISTISCA è rappresentata da Georg PUCHTA (1798-1842) che ha appunto segnato il passaggio dalla concezione storica del diritto alla giurisprudenza dei concetti. Un suo scritto famoso, Manuale di Pandette , ha così contribuito a dare il nome alla nuova scuola di pensiero. In questo suo scritto Puchta ha preso le distanze da Savigny cercando di costruire la scienza giuridica, che diversamente da Savigny riteneva che fosse la fonte del diritto, secondo una scala di concetti concatenati l’uno all’altro in quella che egli ha definito "genealogia di concetti" , a partire dal concetto di diritto fino ai singoli co ncetti dei diritti sogg.vi. Per questo il diritto non si manifestava né nelle convinzioni popolari né nelle espressioni del legislatore, ma come prodotto di una deduzione scientifica. Così, ad es, la nozione di consuetudine aveva sì un nutrimento storico, ma era stata concettualizzata e appariva così nella concezione del pandettista Windscheid, come in Puchta: "nell’uso si manifesta la convinzione degli utenti che ciò che essi usano sia diritto, ed in questa convinzione sta la ragione della forza obbligatoria del diritto consuetudinario". In questa prospettiva la convinzione da cui nasceva la consuetudine era un fatto di ragione e di logica giuridica, non di sentimento popolare. In ciò è evidente il circolo vizioso: da una parte si considera l’ opinio iuris come elemento costitutivo della norma consuetudinaria (in quanto l’opinio è presupposto necessario dell’obbligatorietà); dall’alra si definisce l’opinio come convinzione di sottoporsi ad una norma giuridica (in altre parole l’opinio presuppone un obbligo preesistente); è un gatto che si morde la coda.
Ma… che vuol dì stò simbolo all’inizio? Tu sei una PERETA dei Pereti Cazzulli! Ecco. Quando si parla al plurale di codificazioni non lo si fa per caso: infatti la forma singolare sottende implicitamente la convinzione che il fenomeno delle codificazioni sia unitario, mentre la forma plurale non esprime una convinzione e lascia impregiudicato il problema se quel fenomeno sia unitario, e quindi uguale dappertutto o se si tratti di fenomeni diversi tra loro. In ogni caso partire dalla definizione contemporanea di codice per poi verificare eventuali corrispondenze con le nozioni di codice di altre epoche.
§ I CODICI IN SENSO ATECNICO.
Al riguardo bisogna anzitutto precisare che quando si parla di codice oggi, ci si riferisce solo a quei testi normativi che costituiscono tecnicamente un codice, e non anche a quegli altri testi che pur avendo il nome di codice, non lo sono da un punto di vista tecnico. Per fare un esempio dei codici in senso
atecnico è sufficiente citare il codice tributario, quello amm.vo, della pesca, dell’edilizia, che non sono codici, ma una raccolta di un certo numero di leggi messe insieme perché si riferiscono ad una certa materia comune [il dir. tributario, il dir. amm.vo, etc]. Una prima differenza di questi testi rispetto ai codici veri e propri sta nel fatto che essi sono formati da molte leggi autonome l’una dall’altra che sono state approvate in tempi diversi; mentre il codice in senso tecnico consiste in una sola legge (il codice è un testo dato dal legislatore, una legge sola). Una seconda differenza sta nel fatto che di solito i testi di cui parliamo sono sempre opera di privati, x cui possono essere anche diversi tra loro, in quanto rappresentano il punto di vista di chi scrive [ il codice tributario curato da un certo autore potrà comprendere un certo numero di leggi che sono quelle che quell’autore ha ritenuto fosse utile porre insieme, a differenza di un altro autore].
§ I CODICI IN SENSO TECNICO.
Secondo il sistema attuale delle fonti del diritto, il codice in senso tecnico non è altro che una legge, anche se con alcune particolarità: anche se dal punto di vista della forza imperativa non hanno portata maggiore di una legge singola, hanno a loro favore la maggiore estensione e soprattutto la maggiore organicità e importanza di contenuto , in quanto disciplinano complessi di materie che ruotano intorno a principi fondamentali comuni. Oggi, però, la legislazione speciale ci ha abituato a leggi che, dal punto di vista dell’estensione hanno poco da invidiare ad un codice: come, ad es., la L. 23 dic. 1996 n. 662 contenente misure di razionalizzazione della finanza pubblica, che è formata da soli tre articoli, che però sono divisi in 267, 224 e 217 commi, avvicinandosi quantitativamente al c.p.c. originariamente formato da 840 ar t.
Ma nessuno ha pensato che questi testi elefantiaci possano essere codici, evidenziando come il requisito della maggiore estensione non sia da solo sufficiente a definire un codice. Infatti, a questo fine, un punto utile di riferimento può essere la maggiore organicità, che non si ritrova nelle leggi contemporanee, così come vi abbiamo invece trovato "l’estensione".
§ LE DEFINIZIONI DELLE ENCICLOPEDIE CONTEMPORANEE.
Infatti le grandi enciclopedie giuridiche (e poi anche le enciclopedie e i dizionari non specialistici), che rappresentano la sintesi delle opinioni consolidate in un certo momento, mettono in evidenza l’organicità del codice, che è definito un "corpo organico di norme". Ad es., nel Nuovo digesto italiano degli anni ’30 si trova l’affermazione che " nel linguaggio giuridico, codice significa una raccolta di leggi, che contiene la maggior parte delle norme giuridiche che disciplinano una det.ta materia e che sono sistematicamente disposte in un tutto organico in modo che ne sia più agevole la ricerca e più facile la consultazione". Questa definizione è poi rimasta identica anche nel Nuovissimo digesto italiano degli anni ’60.